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Disperse nella pineta della Duna Feniglia

Il caldo asfissiante suggerisce a Maja e Dafne di addentrarsi in una fitta pineta. Ma le due amiche finiscono per smarrirsi nella boscaglia, disorientate da un dedalo di tortuosi sentieri; dopo ore di cammino non sanno più come tornare indietro anche perché attorno a loro non c’è anima viva a cui chiedere aiuto.
Superano per inerzia l’ennesimo bivio e giungono in uno slargo dove la vegetazione è insolitamente più diradata. Là, un grido le scuote:

“Dovete sbrigarvi! Non c’è più tempo.”

Maja e Dafne volgono lo sguardo in direzione di quell’ammonimento e, tra l’oscurità, scorgono la Gorgone Medusa, imprigionata in una pietra, che continua a parlare:

“Il potere di Morana è cresciuto a dismisura e se non interverrete subito, ogni speranza di salvezza svanirà. Gli ultimi accadimenti si sono rivelati devastanti. Gli eserciti hanno sparato a persone in fila per un pezzo di pane, hanno bombardato la redazione di una televisione e hanno fatto esplodere un ospedale. Dopo questi crimini si è persa, ahimè, ogni parvenza di umanità.”

Una lacrima sgorga dall’occhio sinistro della Gorgone e scivola sulla roccia finché non cade a terra.

“E cosa possiamo fare?” risponde Maja che poi prosegue: “Sono anni che inseguiamo Morana in giro per gli universi, ma non siamo mai riuscite ad avvicinarla: siamo stanche, demoralizzate e ci sentiamo impotenti.

La Gorgone, dopo aver ascoltato la giovane pittrice, riprende il suo discorso:

“In realtà, proprio ora che tutto sembra perduto c’è una possibilità di salvezza. In questo momento Morana si sente invincibile e le sue nefandezze non hanno più filtri. Vi assicuro che sarà più facile per voi smascherarla.
Andate in mezzo alla gente e raccontate la verità.
Dite a chi spara che è vittima di un incantesimo; spiegategli che tornerà di nuovo a essere felice solo se rinuncerà alla violenza.

Dette queste parole Medusa rimane in silenzio. Maja e Dafne la ringraziano per i preziosi consigli e, con rinnovata fiducia, riprendono il viaggio. Giungono ai confini della laguna di Orbetello dove un airone cinerino indica loro la strada per uscire da quel labirinto fatto di pini e di arbusti.

Nonostante la devastazione che le circonda, Maja e Dafne non si arrendono e continuano la ricerca di Morana, ancora impunita.

Riusciranno a portare a termine la loro missione?

Approfondisci su wikipedia la figura di Medusa e la Riserva naturale della Duna Feniglia.

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La protesta delle orate di Orbetello

La crisi non si risolveva; le guerre continuavano a imperversare nelle regioni. I poteri della perfida Morana sembravano espandersi sempre più: se da una parte un suo sortilegio istigava i governatori degli Stati a far degenerare la situazione globale, dall’altra il suo siero narcotizzante addormentava il resto dell’umanità. A essere immuni dalle sue nere magie erano i pesci e, in particolar modo, le orate che avevano deciso di organizzare una grande manifestazione per la pace. Con la loro protesta non violenta chiedevano il definitivo cessate il fuoco su una striscia di terra del pianeta dove le esplosioni non risparmiavano neanche i più piccoli tra i bambini.
Maja e Dafne non esitarono a schierarsi con le orate ed insieme marciarono e nuotarono per la laguna. Gli aironi cinerini, reporter locali, riferirono della presenza di circa 300 mila orate. La marcia indebolì le forze soprannaturali della terribile strega. Maja e Dafne insieme alle orate avevano vinto una piccola battaglia; ma sarebbero riuscite a riportare il mondo alla normalità?

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Dai Quartieri alla Certosa di San Martino

Maja e Dafne si ritrovano, ancora una volta, a camminare per i vicoli della splendida Napoli. Vie, palazzi, monumenti si presentano come tanti pezzi irregolari di un gigantesco mosaico. Un’armonia sporca fatta di stracci, di antenne e di lamiere di amianto corrose dalla ruggine. Dalla lontana Bisanzio giunge ai cuori delle due ragazze l’eco di un’esplosione insieme al dolore delle vittime.
Le guerre, foriere di devastazione e abbrutimento, continuano a imperversare nei Paesi orientali; i profughi navigano il turbolento oceano in cerca di una terra in cui chiedere asilo, ma vengono respinti dai cannoni delle navi da difesa degli stati frontalieri.
Ogni giorni l’aria si fa più pesante.
La bellezza della città partenopea non basta più a restituire il sorriso a Maja e Dafne; È come se fossero dentro un vortice irrefrenabile da cui sia oramai impossibile uscire. Avvolte da questa sensazione, dopo aver camminato a lungo per il corso, le due giovani si siedono ai piedi della Certosa di San Martino; Maja posa la sua testa sulla spalla destra di Dafne e insieme contemplano il panorama; intanto, la voce dei venti trasporta alle loro orecchie un affollato e confuso brusio composto dalle grida provenienti dal vicino stadio e dal rumore disperato della sofferenza dell’umanità.

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Celleno, il papero Ascanio e la pecorella Gisella.

Corre l’8 di gennaio dell’anno 2022; Maja, dopo la sosta a Vitorchiano, si avvia a nord in direzione delle mistiche terre umbre, lungo le verdi valli viterbesi, note ai più per la loro rara ricchezza idrografica.
A pochi passi dal fosso Calenne la nostra eroina scorge uno strano papero, buffo nei movimenti ed eccentrico nel vestiario; anche il pennuto si accorge di Maja e, starnazzando con ossessione, tenta di richiamare la sua attenzione.
“Signorina Maja, signorina Maja, mi permetta di presentarmi. Sono il papero Ascanio, antico erede della dinastia degli Ascani. Non so se lei sa… Ma, poco più avanti, a circa 900 metri da qua, esiste un borgo fantasma chiamato Celleno, con una particolarità unica negli universi; appare soltanto nei minuti pari delle ore dispari dei giorni pari dei mesi dispari degli anni pari.
E si dà il caso che a breve ci troveremo proprio in quella congiuntura temporale e, vista la straordinaria opportunità, qualora a lei fosse venuta la curiosità di visitarlo, sarei onorato di scortarla”.
“Nobile Ascanio” gli risponde Maja “La ringrazio per la sua offerta ma, come è noto anche a Lei, a causa della maledizione di Morana, oggi non è semplice entrare nei luoghi e non vorrei che scoprendo chi sono, ossia un’estranea priva dei documenti di questa regione, non mi lasciassero entrare”.
Ma Ascanio la rassicura: “Di questo, mia dolce Maja, non ti devi preoccupare; nel borgo di Celleno questo problema non c’è; si lasciano entrare tutti sia i sani che i malati, sia i credenti che i riluttanti.
“E non è pericoloso?” chiede con timidezza la fanciulla.
“No, non lo è” controbatte con decisione Ascanio “A Celleno gli effetti della stregoneria vengono annullati; per esempio, chi entra nel paese già contagiato, nel varcar la soglia, viene mondato.
E ti dirò di più, lì potrai carpire nuovi segreti su come neutralizzare l’incantesimo della perfida strega anche nel resto degli universi”.
“Beh, se le cose stanno in questo modo” replica Maja con rinnovato entusiasmo “Non vedo perché non dovrei accettare la tua interessante offerta. Per me possiamo anche andarci subito!”
Detto, fatto e, trovata l’intesa, l’improvvisata coppia si mette subito in marcia;
Ascanio si muove quasi twerkando mentre Maja cammina con passo deciso e regolare.
I due giungono alla volta di Celleno alle 10 e 59 ma, nonostante si trovino a pochi mignoli dalla porta principale del paese, davanti ai loro occhi appare soltanto un verde pascolo collinare.
“Siamo arrivati!” Esclama trionfante Ascanio come se, anziché qualche centinaio di metri, avesse percorso migliaia di chilometri.
“Ma io non vedo niente” gli risponde Maja non nascondendo la sua delusione.
“Per forza” riprende il papero “lo spazio è giusto, ma il tempo è ancora sbagliato; per fortuna, si tratta di una situazione provvisoria e tra pochissimo non solo il luogo, ma anche il momento sarà perfetto”.
E, in effetti, malgrado l’incredulità di Maja, non appena la locale meridiana indica le 11 e 00, appare come per incanto, materializzandosi di fronte alle luccicanti iridi de due visitatori, l’antica Celleno in tutta la sua rusticità.
A mostrarsi non sono solo le case, ma la vita: le persone che affollano il borgo, gli animali che scorrazzano per le vie, i rumorosi banchi di mercato, gli stravaganti mezzi di trasporto e oggetti di ogni forma e dimensione.
All’ingresso del paese, una freccia indica: “Casa della pecorella Gisella e di sua sorella”.
Ascanio fa cenno a Maja che quello è il posto in cui devono andare e, dopo un immediato segno d’intesa della ragazza, i due si dirigono, addentrandosi nell’abitato, nella direzione del segnale. 
Lungo la via si imbattono in Ornello, un locale asinello assai curioso, che, dopo essersi fatto riccamente i fatti suoi e aver preteso di conoscere vita, morte e miracoli di Maja e di Ascanio, consiglia loro la via più agevole e veloce per raggiungere Gisella e la sorella.
Il pennuto e la ragazza lo ringraziano per l’informazione e per sdebitarsi del gradito suggerimento raccolgono, prendendolo da un vicino capannone, un po’ di fieno per lui.
Quindi, riprendono il cammino che si rivela più corto del previsto; percorsi pochi metri, difatti, arrivano a destinazione dove ad attenderli c’è un enorme portone arancione con dei tanto pesanti quanto intarsiati pitocchi. Sul portone è affissa la scritta: “Se entrar vorrai, al contempo quattro volte i batocchi batter dovrai”.
Appresa quell’istruzione, Maja e Ascanio si coordinano, armeggiano i battenti e, con ritmo e precisione, al primo tentativo riescono ad avviare il macchinoso ingranaggio di apertura dell’imponente portone.
Appena si crea lo spazio sufficiente per passare i due amici, senza aspettare, varcan la soglia; nel farlo, alzano il capo e il loro sguardo si imbatte in uno sfarzoso cortile in cui, come tasselli di un mosaico, si alternano bacche, piante e germogli.
Al centro della bucolica scena bruca Gisella; poco distante sua sorella.”Beeeee, non aver paura principessa Maja, ti stavamo aspettando. Beee, per favore, vieni qua e siediti vicino a noi; abbiamo alcune cose importanti da dirti; Beee, nel frattempo, prode cavalier Ascanio, potrebbe allisciare il pelo a me e a mia sorella? Se qualcuno non ci aiuta, presto assomiglieremo più a delle cantanti giamaicane che a due batuffolosi ovini. Le saremmo davvero molto grate”.
E così, mentre Ascanio cerca, con estrema fatica, di sbrogliare le intricate matasse di lana di Gisella e della sorella, Maja si accomoda sull’erba tra le due pecorelle e si prepara ad ascoltare il racconto che le è stato annunciato.
“Devi sapere” inizia Gisella “che Morana con il suo sortilegio di pandemia oltre ad aver messo in pericolo la vita di tantissimi esseri viventi ha iniettato nei loro animi qualcosa di ancor più terribile della stessa malattia: la Paura; è grazie alla Paura se Morana oggi riesce a controllare molto più facilmente i mondi e, di conseguenza, ad accrescere ancor di più il suo già terribile potere.
Sappiamo che sono stati creati diversi antidoti per contrastare il virus, ma sappiamo anche che gli effetti salva vita di questi vaccini sono provvisori, limitati nel tempo e che le controindicazioni non sono chiarissime. Purtroppo, questa indeterminatezza provoca un cortocircuito sociale.
E, se da una parte al fine di rassicurare i suoi elettori il potere dominante ridimensiona le fragilità degli antidoti che contrastano la maledizione di Morana, dall’altra una potente setta, sovvenzionata in modo occulto dalla stessa strega, mira a provocare una forte destabilizzazione degli universi manipolando e ingigantendo i dati di quelle fragilità. Nell’un caso e nell’altro si tratta di operazioni politiche che sfruttano la stanchezza e la rabbia dei molti per far acquisire più privilegi ai pochi. Questa dialettica del potere persegue sempre un unico scopo: arricchirsi, se necessario anche attraverso la guerra.
Oggi, infatti, malgrado la conoscenza della storia, si continuano a fare tanti tipi di guerre: verbali, psicologiche, con le armi; tutte accomunate sempre dallo stesso denominatore comune: la violenza. In questo contesto Morana ha gioco facile, ci sguazza! Sa bene che le pulsioni degli esseri viventi, se stimolate, obnubilano completamente le loro menti. Abbiamo poco tempo perché sta acquistando un potere immenso. Ma bisogna provarci e noi ti diremo quello che devi fare. Per contrastare quella diabolica megera e per uscire dalla pandemia devi svegliare le coscienze e stroncare sul nascere la violenza; solo così potrai arginare il diffondersi di una rabbiosa, immotivata e incontrollabile contrapposizione.
Qui a Celleno il nostro locale stregone riesce ad annullare gli effetti della maledizione di Morana, ma, purtroppo, la sua magia non ha effetto oltre le mura della città. Fuori, data la mancanza della protezione del nostro mago,  l’equilibrio andrà ristabilito in modo diverso e tu, Maja, dovrai essere la guida di questa missione; dovrai far capire agli esseri viventi che incontrerai lungo il sentiero che non devono aver paura di raccontare i loro timori e le loro angosce e che dovranno essere in grado di ascoltare anche i più piccoli turbamenti di chi hanno vicino; dovrai accompagnarli a cercare le parole più adatte a definire sia il terrore che si annida dentro di loro sia quello che imperversa al di fuori.
Solo in questo modo gli esseri senzienti non si disuniranno e non si faranno la guerra; solo così riusciranno a scrivere quella legge giusta che li guiderà a convivere nel rispetto reciproco.
Ricorda Maja! In questa fase di passaggio dovrai prestare molta attenzione perché numerose vite potrebbe essere messe in pericolo, sia dalla mancanza di un immediato e deciso intervento, sia da un’operazione imposta con troppa fretta e superficialità. Finché non sarà condivisa un’azione comune, spetterà a te capire come lasciare più margini possibili di libertà tutelando le singole fragilità. Educa l’universo a comprendere la tossicità della rabbia ostinata di Morana e al contempo rintraccia la perfida strega, affrontala e sconfiggila una volta per tutte; con la sua fine l’incantesimo svanirà e tutto tornerà al suo posto”.
Detto ciò, le pecorelle si addormentano e Maja e Ascanio, dopo aver inutilmente provato a svegliarle per salutarle, se ne vanno via. Fuori dal borgo i due si dividono e ognuno va per la sua strada. Dietro di loro, lontano all’orizzonte, affiora il fumo di un’esplosione. I due non si accorgono di quel grigio presagio che non promette nulla di buono.

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Il vento e la rocca

Gli anni passavano e l’eco del vento ripeteva sempre la stessa parola: virus.
Nonostante lo sconforto, Maja non aveva scelta; doveva continuare il suo viaggio; ma la paura non la abbandonava mai.
Alcuni giorni si bloccava e rimaneva immobile per ore.
Da quando, con un colpo di tosse, Morana aveva maledetto gli universi, il terrore di veicolare il germe malato della strega era penetrato nelle anime di ogni essere vivente. Erano già trascorsi due anni da quel sortilegio e nessuno, neanche i più grandi stregoni, erano riusciti a trovare un antidoto che funzionasse.
Le conseguenze di vivere in quello stato di impotenza erano drammatiche; la nostra amata e sventurata fanciulla, per esempio, non era più in grado di definire i contorni delle cose; era come se il mondo attorno a lei appartenesse a un’altra dimensione.
A causa della maledizione anche Maja, proprio come ogni abitante dei pianeti, non poteva toccare né cose, né persone.
Quell’impalpabilità era la ragione per la quale ogni giorno sempre più esseri viventi si alienavano e si astraevano dal cosmo, scegliendo di spegnersi soli in antri bui e privi di vita.
In questo stato Maja giunse a Rocca Calascio e lì, mentre il vento proveniente dal corno centrale del Gran Sasso soffiava di mille e più nodi, si imbatté in un lupo.
Maja tremava; aveva paura che l’animale potesse mangiarla, ma il lupo, che si chiamava Norberto, la tranquillizzò subito.
Non temere giovane e bella fanciulla. Sono anziano e da anni non ho più i denti; vivo grazie agli infusi che il vecchio frate della chiesa vicina mi prepara ogni giorno.
Sai, giovane Maja, conosco ogni cosa di te e so quali e quanti sono i timori che ti attraversano, ma voglio rassicurarti: ciò che oggi ci appare immutabile presto cambierà.
Per questo, amica mia, non perderti d’animo, recupera le energie e dirigiti verso la cima della Maiella.
Lassù, un camoscio ti darà un’erba medica che ti proteggerà dalla maledizione di Morana.
Dette queste parole, si voltò e se ne andò.
Maja riparò all’interno della rocca per proteggersi dal gelo della notte e dall’impeto del vento; già l’indomani mattina si sarebbe rimessa in viaggio.

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Il sacro mistero di Calcata

Maja e Dafne sono in preda allo Sconforto, la loro ricerca non ha dato frutti e, da troppo tempo ormai, non c’è un solo segnale di svolta nel loro cammino.
Dopo essersi trascinate per due giorni lungo la selvaggia Valle del Treja scorgono, disteso su un piedistallo di tufo, l’antico e oscuro borgo di Calcata. La vista dell’abitato è per loro indifferente; accolgono l’immagine del paese allo stesso modo di quelle degli innumerevoli insetti, alberi e sentieri che l’hanno preceduta.
Nonostante gli infiniti affanni Maja e Dafne non hanno scoperto il luogo dove si nasconde Morana e, per questo motivo, ciò che all’inizio per loro era un progetto da realizzare con il susseguirsi dei giorni si è trasformato in un’illusione inafferrabile.
Le due amiche avrebbero desiderato poter pensare al domani con qualche piccola e rassicurante certezza: un luogo dove andare, una direzione da prendere; invece, nelle loro mani non stringono nulla e, per di più, la violenta pandemia che ha colpito gli universi non ne vuole sapere di allentare la morsa.
Così come il mercurio, percependo il calore, si dirige verso l’alto, allo stesso modo la Nebbia, fiutandone la disperazione, insegue Maja e Dafne e, una volta raggiunte, le avvolge e ripete:

“Fallimento, fallimento, fallimento.”

Riempiendo il vuoto delle loro anime con la Paura e l’Insicurezza.

“Che senso ha continuare a portare avanti questa assurda missione?”

Urlano le loro teste dentro i loro cuori.
Fatiche, speranze e progetti non contano più nulla.
Maja e Dafne hanno perso anche quella piccola e residuale percezione dell’esistenza che con fatica avevano conservato fino a pochi istanti prima.

“Quanto durerà tutto questo? E se anche qualcosa dovesse accadere, quel giorno noi avremo ancora le forze, la lucidità e il tempo per realizzare il nostro progetto?”.

Affollate da queste domande, ma non dalle loro risposte, Maja e Dafne entrano in paese.
Per le strette e sinuose stradine non c’è nessuno.
Il Vento, in perfetto accordo con la Nebbia, sibila un gelido suono che sembra significare:

“La fine di tutto sta per arrivare”.

In quel momento, con un gesto istintivo, le ragazze si prendono per mano: compiono quella azione come se volessero, attraverso il contatto, tentare di recuperare un po’ di calore; come se volessero provare a rivivere quella sensazione di felicità perduta chissà dove durante il viaggio; smarrita in un posto che non ha più né forma, né suoni, né colori; in un luogo che non ha più un nome.
Ma non accade niente, nessuna scintilla si accende.
In uno stato di agghiacciante catatonia raggiungono l’affaccio sull’orrido più profondo di tutta la regione. Lì, una magnetica forza di gravità sembra attirarle verso il burrone.
Maja e Dafne chiudono gli occhi e, come se fossero un unico corpo, avanzano, piano ma senza esitare, verso quel nulla privo di ritorno.
Quando mancano un paio di passi all’inevitabile caduta, una voce, improvvisa e inaspettata, le ferma.

“Maja, Dafne il vostro tè è pronto!!”

Le ragazze aprono gli occhi. Guardano il precipizio sotto di loro e con un piccolo balzo si tirano indietro. Si rendono conto che si stanno tenendo per mano e, d’istinto, stringono la presa più forte come per assicurarsi di non essere saltate giù. Poi, si voltano in direzione della salvifica voce e scorgono sul far di un uscio una dolce vecchina che, guardandole amorevolmente e con tono materno e deciso, riprende a parlare:

“Su, forza! Che aspettate? Entrate dentro casa. Non vedete come siete ridotte? Dovete recuperare spirito ed energia.
Ma che sono quelle facce?
Coraggio! Morana è più vicina di quel che sembra.
La vostra missione presto si compirà e ogni cosa andrà come deve andare”.

Maja e Dafne, incredule, si guardano e accennano un sorriso.
Poi le tre, dopo essersi tirate dietro la porta, entrano in casa.
Fuori, la Nebbia e il Vento, amareggiati per non essere riusciti a portare a termine il proprio compito, si ritirano e si dirigono, con non pochi timori, verso la dimora della perfida Morana.

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I 5 laghi della Presanella Maja e Dafne incontreranno Mastro Tonio?

Ancora provate dalle recenti avventure Maja e Dafne continuano il loro viaggio alla ricerca di Morana e si dirigono verso l’impervio gruppo montuoso dell’Adamello-Presanella.
Ma perché scelgono di affrontare un percorso che si potrebbe definire, volendo usare un eufemismo, alquanto ostico?

La scorsa notte le fanciulle hanno avuto in sogno la stessa visione profetica.

Erano insieme, mano nella mano, e si trovavano all’interno di un impetuoso vortice d’aria; lì, una voce echeggiava forte: “Se scalerete le impervie montagne nei pressi del vecchio borgo di Pinzolo potrete vedere, anche se solo per pochi istanti, Mastro Tonio”.

Le due ragazze sanno con assoluta certezza che l’antro di Morana dista ancora molto, tuttavia quello strano messaggio ricevuto nel sonno le convince a compiere quella deviazione.

Il sentiero che dovrebbe portarle in cima alle vette è ripido, scosceso e pieno di insidie, ma, conosciamo bene le nostre amiche, non sarà di certo un piano inclinato a dissuaderle dai loro propositi!
Per fortuna è attivo un servizio di trasporto a supporto di un programma di promozione dell’ecoturismo locale: l’aquilavia.
Due aquile reali ghermiscono gli scalatori nel paese della Madonna di Campiglio e li lasciano a poche centinaia di metri dal Lago Ritorto a più di 2000 metri di altezza.
E così, grazie all’aquilavia, Maja e Dafne si risparmiano almeno un giorno di cammino, ma, una volta a terra, si accorgono di avere un problema: non sanno dove devono andare!
Di nuovo, però, la buona sorte, sotto forma di due capre e un fior di tarassaco, viene loro incontro.

“Andate a chiacchierare un po’ più in là brutte caprone vecchie e pettegole, altrimenti rischierete di soffiarmi via!”
“Che strana imprecazione! Sembra venire da dietro il tornante!” Dice Maja incuriosita a Dafne che le risponde.
“Su, forza andiamo a vedere!” 

Appena terminano la curva vedono, distanziate tra loro su di uno scosceso pendio, due caprone e un fiore di tarassaco che continuano a battibeccare.
Il gruppo si accorge delle due fanciulle.
Una delle due nobili discendenti dell’egagro dell’Asia Minore si rivolge alle ragazze con garbo: “Buongiorno signorina Maja e signorina Dafne, non fate caso a quel burbero fiore. Ci prendiamo cura di lui da quando è nato, ma nonostante tutto continua a temere che lo soffiamo via.
Ah, i tarassachi! Che esseri strani che sono!
Comunque vi aspettavamo. Sappiamo del vostro sogno e vi possiamo confermare che è tutto vero.
Cara Maja presto potrai vedere e parlare con il tuo amato babbo.
Tra queste cime ci sono 5 laghi magici e l’ultimo, il lago Gelato, è in realtà un varco dimensionale. Attraverso questo specchio d’acqua ogni 10 minuti è possibile vedere uno degli infiniti punti dell’universo anche se solo per pochi istanti.
Esattamente tra 3 ore 15 minuti 27 secondi e 4,5 decimi si aprirà nella grotta di Morana” conclude la capra.
“Ma, gentile caprone, dove si trova questo lago?” Le chiede Dafne.
“Vi dovrete arrampicare in cima a quelle vette lassù; seguire il sentiero delle mucche di montagna e al lago Nero prendere la deviazione per la Baita Serodoli.
Una volta là sarete praticamente arrivate”.
“Forza su sbrigatevi altrimenti non arriverete mai in tempo”.
Maja e Dafne ringraziano le capre per le indicazioni ricevute e si mettono subito in cammino.
Non appena si allontanano, il tarassaco riprende a brontolare e le caprone a spettegolare; parlano dei dispetti tra il filo d’erba e il sasso nero e deridono la vanità della stella alpina.
Ben presto le loro chiacchiere si trasformano in brusio; Maja e Dafne sono già in cammino, anzi si stanno arrampicando per la parte più ripida della montagna. E, proprio mentre il loro sforzo è al massimo, un’improvvisa nebbia si abbassa su di loro e le due amiche non riescono più a vedere niente al di là del loro naso.
Scorgono una specie di piccolo sentiero sotto i loro piedi, si prendono per mano e continuano la scalata.
A un certo punto il sentiero si biforca. “Deve essere la deviazione del lago Nero!” Esclama Dafne. Ma non riescono a vedere nulla.
Si affidano al loro istinto e prendono il percorso di sinistra.
Camminano, il tempo passa e loro non hanno idea se si trovano ancora sulla retta via.
Trascorse 3 ore hanno ormai perso ogni speranza di arrivare puntuali all’apertura del varco; poi, sentono il rumore di un campanaccio e…
…in quell’istante la nebbia si dirada, davanti a loro appare un’enorme mucca marrone e, poco distante, una casetta di legno.
È la baita Serodoli. Il lago Gelato si trova qualche centinaia di metri più avanti.
“Evviva ce l’abbiamo fatta!” Urlano insieme le due ragazze.
La mucca, sorridendo, consiglia loro di sbrigarsi: “Correte, il varco si aprirà tra poco!”
Maja e Dafne affrontano l’ultima salita senza indugi e nel momento in cui arrivano sulla riva del lago il varco si apre.
All’inizio vedono solo una figura confusa, poi l’immagine diventa più nitida e, seduto su una sedia con le mani legate, appare Mastro Tonio che si accorge subito della loro presenza.
“Ero certo che ce l’avreste fatta!
Mia cara Maja sono felice che sei di nuovo con la tua amica Dafne.
Sapete, Morana ha un libro dove ho letto tutta la vostra storia.
Adesso è fuori e quando va via mi tiene legato, ma non è sempre così.
Non abbiate pena per me. Presto ci rincontreremo e quel giorno avrà inizio una nuova vita!
Cercate di non perdervi più e continuate a camminare per gli universi. Un giorno riuscirete a scovare questo nascondiglio.
È vero, prima dovrete affrontare molti imprevisti, ma saranno tantissime le amiche e gli amici che incontrerete e che vi aiuteranno a superare ogni difficoltà! 
Ti voglio bene figlia mia e voglio bene anche a te Dafne anche se non ci siamo ancora conosciuti di persona.”
E con queste parole Mastro Tonio conclude il suo discorso.

Dagli occhi delle due fanciulle scendono due grossi lacrimoni.

Maja riesce appena a dire: “Anche io ti voglio bene, papà” prima che il varco si richiuda davanti a lei.

Maja sarebbe voluta restare a parlare con il padre per ore, ma è comunque felice! Sa che Mastro Tonio è vivo e sa che se non si fermerà nella sua ricerca, un giorno potrà finalmente liberarlo dalla perfida strega e nessuno li separerà più.

Abbraccia Dafne. La strige forte a sé. Poi, le due amiche riprendono il cammino.

Quale sarà la prossima tappa del loro incredibile viaggio?

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Dipingendo la valle del Vigi

Sul far del crepuscolo Maja giunge a Sellano. Anche lì l’atmosfera è surreale; la poca gente presente in strada si muove frettolosamente mentre una macchina della polizia percorre avanti e indietro la via principale del paese. Sopra il tettuccio del veicolo un megafono ripete con voce metallica e senza soluzione di continuità: “Si prega la cittadinanza di rientrare in casa; tra 15 minuti inizia il coprifuoco; è per il vostro bene; isolati nei vostri alloggi sarete al sicuro; accendete la televisione e guardate lo sport”.

Il virus che si è diffuso in tutti gli universi non ha ancora arretrato; persino in quel piccolo borgo abitato da poche anime sopprimere la socialità sembra essere l’unico modo efficace per contrastarlo.
Maja dovrebbe trovare un alloggio ma, con i tempi che corrono, l’impresa più che ardua risulta impossibile.
Per questo motivo non si affanna a cercarlo e, data l’inquietante presenza delle forze dell’ordine, si allontana velocemente dal paese.
Su una bella radura da cui può ammirare la bellezza della Valle del Vigi monta la grande e spaziosa tenda che Mastro Tonio le aveva regalato prima di partire.
Quindi, sistema una tela sul cavalletto e si appresta a dipingere quel luogo meraviglioso e imperturbabile nelle cui infinite sfumature di verde scorge un futuro più luminoso e pieno di speranza di quel tetro presente che sta vivendo l’umanità.

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Il ristoro di Mastro Tonio nella valle di Tramonti

Mastro Tonio,  
ha percorso tante strade
della Penisola e della Costiera,
ha ammirato insenature e rade
in splendenti giornate di primavera.

Tra le case sparse di Tramonti
ha scovato un luogo incantato
di cui mai aveva ascoltato racconti
e dalla cui bellezza è stato abbagliato.

Lì ha approfittato
dell’ospitalità della gente locale
per osservare il territorio inesplorato
da una bella casa sul crinale.

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