
C’è un luogo sulla terra dove elfi, chierici, bardi, stregoni e cavalieri hanno vissuto avventure fantastiche.
Tra i carsici monti Lepini, o Lupini, o Leprini (a seconda di chi li ha abitati nei secoli) e le infide paludi pontine, nel cui abissale fango numerosi cavalieri errando si lasciano morire, dopo essere stati afferrati dal lugubre abbraccio della tristezza, si distende verso l’infinito una terra meravigliosa.
Per raggiungerla bisogna scovare un minuscolo passaggio segreto, nascosto chissà dove tra la boscaglia. Se lo si varca si entra nel Giardino incantato di Ninfa, crocevia per due città al contempo antiche e maestose: la medievale Sermoneta, borgo di cappa e di spada, e l’antichissima Norba.
Entrambe si ergono su due colli da cui dominano le paludi, il mare e il gigantesco e orrorifico promontorio del Circeo cuore pulsante dell’omonimo parco.
Anche il govine Don Quijote, di ritorno dal suo viaggio nella terra di Stretto e della Ruota della Fortuna (molto prima, dunque, delle picaresche avventure nella Mancia narrate dal Cervantes), giunse da queste parti.
In cerca di un’erba medica per destare dal sonno Pisolante, il suo destriero di allora, si inerpicò, con il ciuco in spalla, sul colle dove fioriva l’antica e ridente Norba. Ma quando arrivò in cima la sua vista si offuscò e accadde l’inevitabile: perse il senno e scambiò due alberi in fiore per delle giovini e bellissime fanciulle di cui si innamorò all’istante.
Chiese loro accoglienza e ristoro ma, ovviamente, non ebbe alcuna risposta.
Ciò lo fece andare su tutte le furie. Si adirò ed esclamò:
“Non rispondere a me!
Quale insulto terribile mi fanno codeste fanciulle!
Io sono Don Quijote!”
Voltò loro le spalle e, accigliato, si addentrò nella fortificata città, ancora ignaro che i suoi patimenti fossero solo all’inizio.
Là, difatti, venne scambiato dai Latini, gli abitanti di Norba, per uno di quei folli in cerca della chioccia con i pulcini d’oro. Ed è risaputo che i Latini si facessero beffe di chiunque credesse nelle curiose fantasticherie dei miti e delle leggende.
Al suo passaggio vecchie e bambini risero di gusto e il povero Don Quijote, prima di esplodere, si fece scuro scuro in volto; poi, prese la spada, la brandì contro una pietra che scambiò per un gigante e la colpi con talmente tanta veemenza che la spaccò in due esatte metà.
I Latini, temendo che a causa della sua follia potesse far danno, non solo, alle pietre, ma anche agli esseri viventi, richiesero l’intervento del locale Corpo degli Agenti in Parapendio, specializzato nel rispedire a valle i visitatori indesiderati.
I poliziotti arrivarono in un battibaleno e, dopo aver imbracato Don Quijote e un ancora addormentato Pisolante, li spedirono in volo verso Latina, implorandoli di non tornare mai più*.









