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Disperse nella pineta della Duna Feniglia

Il caldo asfissiante suggerisce a Maja e Dafne di addentrarsi in una fitta pineta. Ma le due amiche finiscono per smarrirsi nella boscaglia, disorientate da un dedalo di tortuosi sentieri; dopo ore di cammino non sanno più come tornare indietro anche perché attorno a loro non c’è anima viva a cui chiedere aiuto.
Superano per inerzia l’ennesimo bivio e giungono in uno slargo dove la vegetazione è insolitamente più diradata. Là, un grido le scuote:

“Dovete sbrigarvi! Non c’è più tempo.”

Maja e Dafne volgono lo sguardo in direzione di quell’ammonimento e, tra l’oscurità, scorgono la Gorgone Medusa, imprigionata in una pietra, che continua a parlare:

“Il potere di Morana è cresciuto a dismisura e se non interverrete subito, ogni speranza di salvezza svanirà. Gli ultimi accadimenti si sono rivelati devastanti. Gli eserciti hanno sparato a persone in fila per un pezzo di pane, hanno bombardato la redazione di una televisione e hanno fatto esplodere un ospedale. Dopo questi crimini si è persa, ahimè, ogni parvenza di umanità.”

Una lacrima sgorga dall’occhio sinistro della Gorgone e scivola sulla roccia finché non cade a terra.

“E cosa possiamo fare?” risponde Maja che poi prosegue: “Sono anni che inseguiamo Morana in giro per gli universi, ma non siamo mai riuscite ad avvicinarla: siamo stanche, demoralizzate e ci sentiamo impotenti.

La Gorgone, dopo aver ascoltato la giovane pittrice, riprende il suo discorso:

“In realtà, proprio ora che tutto sembra perduto c’è una possibilità di salvezza. In questo momento Morana si sente invincibile e le sue nefandezze non hanno più filtri. Vi assicuro che sarà più facile per voi smascherarla.
Andate in mezzo alla gente e raccontate la verità.
Dite a chi spara che è vittima di un incantesimo; spiegategli che tornerà di nuovo a essere felice solo se rinuncerà alla violenza.

Dette queste parole Medusa rimane in silenzio. Maja e Dafne la ringraziano per i preziosi consigli e, con rinnovata fiducia, riprendono il viaggio. Giungono ai confini della laguna di Orbetello dove un airone cinerino indica loro la strada per uscire da quel labirinto fatto di pini e di arbusti.

Nonostante la devastazione che le circonda, Maja e Dafne non si arrendono e continuano la ricerca di Morana, ancora impunita.

Riusciranno a portare a termine la loro missione?

Approfondisci su wikipedia la figura di Medusa e la Riserva naturale della Duna Feniglia.

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Paesaggio orientale..

Grazie a un’inaspettata magia, il cui autore risulta ignoto ai narratori di questa storia, Maja e Dafne si salvano da una situazione disperata; davanti a loro compare uno di quei portali quadridimensionali che permettono di viaggiare nello spazio.

Le due ragazze, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, lo attraversano e si ritrovano al sicuro sopra un grande ponte dal cui sfondo scorgono i 🏙 della città nuova.

Maja e Dafne si sono salvate per un pelo, sfuggendo al terribile bombardamento che poche ore prima le aveva sorprese nelle terre d’oriente. Altre persone, purtroppo, non hanno avuto la loro stessa fortuna.

Intanto, dalla radio di un’autovettura in sosta viene trasmesso un comunicato del canale intergalattico: le autorità imperiali hanno sferzato il chirurgico attacco contro le forze del male che con il loro atteggiamento insolente rappresentavano una tanto ipotetica quanto irreale minaccia. Il dipendente dell’emittente rassicura i suoi ascolatori: “Non ci sono vittime civili!” e continua: “È già pronto un generoso piano di ripartenza: sarà attuato non appena i diabolici nemici della pace firmeranno giusti ed equi accordi unilaterali nel rispetto delle regole dei nostri amati governanti”.

Da tempo Maja e Dafne hanno smesso di credere a quelle propagandistiche notizie. Sanno bene che cessare il fuoco è l’unica soluzione efficace per interrompere questi terribili massacri.

Ma l’ondata di violenza appare inarrestabile così come l’oscurità che dilaga in ogni dove. Nonostante ciò le due amiche credono ancora che sia possibile realizzare il loro sogno: sconfiggere Morana e riportare la pace tra i popoli; una pace che al momento sembra una irraggiungibile chimera.

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La protesta delle orate di Orbetello

La crisi non si risolveva; le guerre continuavano a imperversare nelle regioni. I poteri della perfida Morana sembravano espandersi sempre più: se da una parte un suo sortilegio istigava i governatori degli Stati a far degenerare la situazione globale, dall’altra il suo siero narcotizzante addormentava il resto dell’umanità. A essere immuni dalle sue nere magie erano i pesci e, in particolar modo, le orate che avevano deciso di organizzare una grande manifestazione per la pace. Con la loro protesta non violenta chiedevano il definitivo cessate il fuoco su una striscia di terra del pianeta dove le esplosioni non risparmiavano neanche i più piccoli tra i bambini.
Maja e Dafne non esitarono a schierarsi con le orate ed insieme marciarono e nuotarono per la laguna. Gli aironi cinerini, reporter locali, riferirono della presenza di circa 300 mila orate. La marcia indebolì le forze soprannaturali della terribile strega. Maja e Dafne insieme alle orate avevano vinto una piccola battaglia; ma sarebbero riuscite a riportare il mondo alla normalità?

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Il tempo nella casa della neve

Il sentiero era stato bloccato da un’improvvisa slavina. Maja e Dafne avevano smarrito l’orientamento e temevano che non sarebbero più riuscite a trovare la strada che le avrebbe portate da Morana.
E pensare che solo fino a qualche giorno prima la loro meta sembrava così vicina!
Invece, dopo la terribile bufera che aveva imperversato per gli universi, ogni punto di riferimento era stato spazzato via.

Dove erano finite? E quanto si erano allontanate da Morana?

Probabilmente nessuno avrebbe saputo dar loro una risposta, anche perché in giro non c’era più anima viva.
Molti si erano arruolati per fare la guerra, mentre altri si erano nascosti in inaccessibili rifugi da dove, premendo compulsivamente tasti di apparecchi digitali, inneggiavano alla ragion di stato, al valore e alla dignità.
Esisteva anche un ulteriore piccolo gruppo di persone che provava invano a fermare quell’orrore. Ma queste povere anime, accusate dai regimi di codardia e tradimento, erano state emarginate, umiliate e, in molti casi, uccise.

Oltre le montagne si udivano i rumori e si vedevano i fumi delle esplosioni termonucleari e, nonostante il pericolo apparisse ancora lontano, Maja e Dafne lo percepivano in modo distinto, anche perché già da diversi giorni il vento aveva fatto giungere alle loro orecchie strazianti grida di dolore dai luoghi colpiti dalle esplosioni.
Ma come era accaduto tutto questo?
La propaganda della nazione delle Terre Verdi raccontava che, senza un valido motivo, il suo territorio era stato invaso con bombe e carri armati, con droni e con soldati dal tracotante capo supremo del potente stato militare delle Terre Vastissime. E che, mentre i suoi razzi uccidevano malati e bambini, lui rimaneva sordo alle disperate richieste di cessate il fuoco. Per questo motivo, ossia per fermare violenza e follia, il presidente delle Terre Verdi aveva chiesto aiuto ai Paesi alleati che, dopo una prima esitazione, erano entrati in guerra.

Di contro, la propaganda dello stato delle Terre Vastissime accusava la nazione delle Terre Verdi di compiere continui atti di terrorismo e di collaborare segretamente con i paesi vicini con lo scopo di annientare il suo popolo. Il capo delle Terre Vastissime aveva provato più volte a chiedere al presidente delle Terre Verdi di rinunciare ad armarsi contro di lui, ma senza esito alcuno. E così, al fine di sedare ulteriore violenza, aveva iniziato quella che lui aveva definito come “un’operazione speciale di pace per il disarmo del Paese delle Terre Verdi” e aveva chiesto aiuto ai suoi alleati. Alleati che, dapprincipio, non vollero prendere parte alla missione, ma poi, per fermare violenza e follia, si schierarono e agirono.


In realtà, la guerra negli universi era conosciuta da tempo, molte altre battaglie si erano susseguite negli anni: tribù contro tribù; religioni contro religioni; esseri umani contro altri esseri umani. Dietro di loro sempre gli stessi signori del terrore, sempre consigliati dalla perfida Morana che, con successo, aveva continuato a lavorare al suo piano di morte e distruzione.
Le era bastato un banale sortilegio con il quale aveva infuso negli animi dei potenti un sentimento misto di paura e di ambizione.
Dopo aver lanciato quel maleficio non aveva fatto più nulla. Si era seduta su un  grosso sasso circolare in attesa di conoscere in che modo avrebbe reagito la specie umana.

Morana aveva fatto quella magia per gioco, per provocazione, per un’assurda sfida con se stessa; era consapevole quanto fosse improbabile il suo progetto criminale. Per rendere vano l’incantesimo non ci sarebbe stato neanche bisogno che l’umanità prendesse coscienza del fatto che che per sopravvivere avrebbe dovuto dividere in parti uguali fra tutti gli individui le ricchezze dei pianeti, preservando la vita e l’esistenza delle altre specie. Per la salvezza degli esseri umani sarebbe stato sufficiente molto meno: per esempio, seguire il proprio istinto di conservazione.

Ma fino a quel momento ciò non era accaduto e l’assurdo piano di Morana stava per giungere a compimento.

Maja e Dafne si ritrovarono nei pressi di una vecchia stazione abbandonata con le finestre murate e la porta chiusa.
Attorno a loro non c’era nient’altro.
Provarono ad entrare, ma non ci riuscirono: una specie di incantesimo sacro rendeva l’ingresso inaccessibile.
Fu in quel momento che Maja si ricordò del sacchetto che le avevano regalato Mona e Lona e delle parole che le avevano detto.

Quando ogni cosa perduta ti sembrerà,

la chiave del tempo e dello spazio una porta aprirà;

in quel moto immobile e in movimento

sarai nel giusto luogo e nel giusto momento,

lì a pensar fermarti potrai

e tutto riuscirai a cambiar se lo vorrai

Maja prese la sportina che aveva nella tasca destra; all’interno c’era una chiave di legno; la afferrò, la inserì nella serratura, la girò per due volte e la porta si aprì. L’incantesimo che proteggeva quel luogo era stato rimosso.
Ciò che videro dall’altra parte era incredibile: l’edificio era un varco verso un nuovo mondo!
Davanti a loro si distendeva uno sconfinato altopiano coperto di neve.
Attorno tutto era silenzio.
Non si udivano grida e non si vedevano più i funghi mortali delle esplosioni. Tra la coltre bianca affiorava un piccolo borgo in lontananza. Avanzarono di qualche passo per osservarlo meglio e videro ciò che pensavano fosse perduto per sempre: bambini che giocavano e uomini e donne felici che lavoravano. Ogni cosa era in armonia.
Sedotte da quel confortevole luogo si avvicinarono di più, ma poi, scosse da un brivido, si voltarono indietro e si accorsero che il portale si stava smaterializzando. 
Fu allora che compresero che se si fossero allontanate di più non sarebbero riuscite a tornare indietro.
Dovevano prendere subito una decisione.
Il mondo che si erano lasciate alle spalle era sul punto di esplodere; nulla sarebbe rimasto, ma a loro era stata offerta un’opportunità: una nuova dimensione in cui ricominciare da capo.
Ma a quale prezzo?
Restare significava rinunciare per sempre alla loro ricerca. 
Significava ammettere che nessuna delle loro avventure aveva avuto senso.
E come avrebbero potuto vivere felici, sapendo che dall’altra parte Morana aveva vinto?
Così, nonostante i loro cuori fossero stati già scaldati dal tepore di quel possibile futuro di pace, le due amiche non ebbero alcuna esitazione. Come tante volte avevano fatto nella loro storia, si presero per mano e, dopo aver posato un ultimo malinconico sguardo su quel piccolo borgo, non si voltarono più, chiusero gli occhi e, senza rallentare, corsero verso il portale finché non lo ebbero oltrepassato.
Appena furono dall’altra parte riaprendo gli occhi  videro un razzo dirigersi verso di loro; fecero appena in tempo a spostarsi.
L’esplosione fu devastante.
Maja e Dafne, seppur ammaccate, si salvarono; per la vecchia stazione, invece, non ci fu niente da fare. Il missile la distrusse e con essa il passaggio verso un mondo di pace e di armonia in cui Morana non sarebbe mai potuta entrare.

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Il giardino incantato di Ninfa

Sulla valle su cui si affaccia l’antica Norba esiste un luogo magico che si risveglia ogni primavera. Maja e Dafne vi giungono dopo aver rinunciato a seguire le istruzioni di AI, uno strano organismo elettronico dotato di capacità cerebrale.

Per portarle da Morana AI le avrebbe fatte passare per una stretta stradina sterrata completamente minata in cui la speranza di sopravvivenza per chi la attraversa è limitata. Per fortuna, le due amiche, spaventate dalla asperità del sentiero, rinunciano alla guida della disumana intelligenza, si perdono e si ritrovano alle porte del magico monumento naturale. Varcano l’ingresso e nel parco si imbattono subito in simpatici e giocosi troll.

“Benvenute deliziose creature nel nostro fatato universo; qui coltiviamo i fiori più rari esistenti nei mondi. Ninfa è uno spazio sicuro da ogni violenza e delirio; qui regnano la pace e l’armonia e se vi vorrete fermare sono certo che recupererete un po’ di quelle energie che la violenza del mondo di fuori vi ha sottratto”.

Maja e Dafne non si fanno ripetere due volte il provvidenziale invito, si lasciano alle spalle ogni fatica e si prendono la loro meritata pausa tra le meraviglie floreali di Ninfa.

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La valle dell’Inn

Mentre Maja attraversa la valle dell’Inn alla ricerca disperata della sua amica Dafne, la pioggia cade copiosa e i fumi delle fabbriche d’armi macchiano di grigio le tenui sfumature del paesaggio invernale. 
Giungendo a Rattenberg la nostra eroina si imbatte in una voluminosa casa quadrata sopra il cui ingresso è scritto: ENTRA QUA. Varca la soglia dell’abitazione e si ritrova a calpestare un corridoio di cui il suo sguardo non riesce a indovinare la fine. Lungo le pareti porte quadrate ed equidistanti si ripetono senza soluzione di continuità; su tutte è inciso il codice alfanumerico: “41 bis“. 
Dopo aver percorso un lungo tratto di corridoio senza riuscire a scoprirne il limite, Maja d’istinto apre una porta, oltre la quale, all’inizio, tutto è oscurità, ma, trascorsi, gli istanti necessari alle sue pupille per adattarsi a quell’ambiente assai più che crepuscolare, realizza di essere al centro di un’angusta e tetra stanza e di non esser lì sola.
La poca e flebile luce, raccolta da una minuscola fenditura sul soffitto, svela, accanto a lei, un regale pavone la cui sontuosa coda, malgrado i microscopici movimenti, urta ripetutamente i muri della cella.
“Mi chiamo Alfredo, mia dolce Maja, e il destino che mi è capitato è dei più amari.” Esordisce il pavone che poi prosegue: “Da quando è iniziato questo assurdo conflitto ho sempre voluto trovare un rimedio. Conoscevo il sortilegio di Morana e non riuscivo a comprendere come una sciocca e banale stregoneria si fosse potuta insinuare tanto rapidamente nelle menti e negli animi delle persone.
Dapprincipio, ho cercato di ricondurre gli uomini e le donne alla ragione perduta, ma senza successo e… alla fine, ho desistito. Attenzione, non dal perseguire il mio scopo, ma dal farlo in modo bonario.
Avevo, infatti, deciso che per contrastare il terrore avrei usato come arma altro terrore.
La mia prima azione provocò alla vittima molto dolore mentre a me, inevitabilmente, assicurò la prigione. Non mi pentii e, una volta scontata la pena, ne organizzai un’altra limitandomi però, quella volta, a lanciare un doppio segnale d’intimazione, illudendomi che in quel modo (facendo esplodere in sicurezza degli ordigni artigianali senza ferire persone) avrei evitato di ricevere una punizione esemplare. Cosa ho ottenuto? Purtroppo, niente di buono. Come vedi, le mie azioni non hanno prodotto alcun miglioramento: per gli universi non sembra esserci alcuna speranza e io sono stato condannato a una claustrofobica, definitiva e solitaria reclusione.
Sai, mia affezionatissima Maja, quella stessa giustizia che spesso sceglie di non procedere contro i potenti artefici di genocidi e devastazioni, altre volte, come nel mio caso, condanna a delle pene esorbitanti come rimanere imprigionati da vivi dentro un sepolcro. Il Tribunale ha riconosciuto in me un nemico da annientare ed ha rimodellato il diritto a suo piacere per potermi infliggere una pena tanto disumana quanto crudele. Alla fine, forse, mia cara, dolce, piccola Maja, abbiamo fallito entrambi, ma qualora tu riuscissi ancora a salvare gli universi, fai in modo che ciò che verrà dopo non possa più essere corrotto dalla magia nera di Morana. Fai in modo che nessuno impugni più un’arma, eserciti violenza, ambisca al potere e, laddove questo non fosse possibile, che la giustizia non sia mai più usata come uno strumento di tortura. Compito della giustizia è, difatti, creare armonia, pace, felicità; non di certo seppellire vivi in dei cubicoli più o meno grandi i suoi nemici, il più delle volte, diventati tali perché nati, cresciuti e vissuti in una cultura di odio e di diseguaglianza.
Esci subito da questa casa e dirigiti verso le cime delle montagne più alte, là dove dimora il ghiacciaio dello Stubai; se riuscirai a sopravvivere alla pericolosa scalata per tutti noi ci sarà ancora speranza”.
Alfredo smette di parlare e chiude i suoi occhi. Maja lo ringrazia, poi esce prima dalla stanza e, poco dopo, dalla casa. Fuori, alza lo sguardo e lo volge in direzione delle alpi più alte; quindi, senza attendere oltre, comincia la terribile ascesa.


La Valle dell’Inn 

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La lunga strada verso il ghiacciaio dello Stubai

La guerra imperversò per due lunghissimi anni. Maja non sapeva se Dafne, Mona e Lona, Sami e Colombo Cristofaro fossero sopravvissuti agli eventi nefasti che avevano sconvolto gli universi. Di Morana e Mastro Tonio non c’era traccia. Maja, sola e sperduta, si trascinava da giorni per un’impervia ascesa. Senza cibo e avvolta costantemente da una fitta nebbia si muoveva più per inerzia che per un reale istinto di sopravvivenza. La quarta notte, senza aver trovato riparo nel pieno di una bufera, Maja stremata si lasciò cadere a terra, e nel farlo immaginò che di lì a poco il suo corpo esanime sarebbe stato sepolto dalla neve che già da alcune ore cadeva copiosa.
Il solo risvegliarsi fu per lei una sorpresa; figurarsi quanto le sembrò incredibile alzarsi, dopo aver constatato di avere ancora energie, ed osservare il mirabile scenario che la circondava. Tutto per Maja fu stupore e meraviglia. Fu invasa da una piacevole sensazione di quiete e armonia che le fece riaffiorare quel sentimento di pace provato fuori dalla casa della neve, quando era ancora insieme alla sua amica Dafne. Il dolore per il fallimento, la solitudine, la stanchezza si ritirarono in una sacca interna del suo corpo e liberarono le arterie di Maja da ogni ostruzione che le avevano provocato; il 💓  della ragazza, con precisione e rinnovato vigore, aveva ripreso a scandire il tempo di ogni sua più piccola cellula. La guerra che le aveva portato via tutti gli affetti era svanita. Lassù, in cima alle montagne dello Stubai, non si udiva l’angosciante fragore delle esplosioni e il cielo e la terra non erano corrotti dalla brutalità dei mezzi armati.
Maja, commossa dalla bellezza che la circondava, raccolse con il pugno la neve e la mangiò; poi, sentì come un calore dentro di lei. Fu in quell’istante che capì che il suo futuro stava per compiersi. In lontananza vide un fuoco attorno al quale c’erano persone che cantavano. Si fece coraggio e si incamminò verso di loro.

Le Alpi dello Stubai sono una catena montuosa che fa parte delle Alpi Orientali. Leggi anche la Valle dell’Inn.

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Santorini tra naufraghi e campioni

A volte Maja vorrebbe ridiventare piccola. 
In quei momenti, non le importa di perdere di nuovo quella considerazione degli adulti che in passato la sua bassa statura e la sua esile corporatura le avevano negato.
Vorrebbe ritrovarsi, come se nulla fosse cambiato, al mercato Circo Max a giocare con i suoi amici ratti.
Allordove, il futuro era qualcosa di quasi irraggiungibile e il passato un breve, vitale e colorato bagaglio non così dissimile dal presente.
Oggi, tutto è cambiato; il viaggio, la maledizione, l’eco lontano della voce di Mastro Tonio in prigione.
Nonostante lo spazio e il tempo si siano ridimensionati ogni cosa sembra sfuggirle.
Pur avendo sempre corso, faticato e lottato, Maja prova l’angosciante sensazione di non aver trattenuto niente in mano.
Avvolta in questa spirale, per non lasciarsi soffocare, non ha altra scelta: deve continuare a cercare il modo per annullare il sortilegio che le ha tolto la possibilità di creare il suo destino.
Così, giunta, dopo una sosta a Ios, nell’isola di Santorini si unisce all’equipaggio dell’imbarcazione Vichinghi dell’Oceano per aiutarli a salvare cani e gatti migranti; i quadrupedi, per sfuggire alle epidemie e alle guerre delle terre del Sud e dell’Est, hanno sfidato il mare aggrappandosi a pezzi di legno e a galleggianti di fortuna di ogni tipo.
Nel recuperare, sfinito, uno di questi animali, Maja viene a sapere che è il pronipote del più grande campione della storia del calcio canino e felino. Il suo prozio si chiamava il Re; i suoi genitori erano migrati nel paese della musica malinconica e delle sterminate foreste dell’ovest.
Appartenente a una grande dinastia di calciatori, il re aveva sempre danzato con la palla tra i piedi e aveva sempre continuato a calciare il pallone anche quando tiranni e dittatori gli avevano chiesto di fermarsi.
Anche Orlando, così si chiama il cane salvato da Maja, vuole diventare un campione come il suo prozio; in questo modo, con l’attenzione del mondo, potrebbe chiedere e pretendere aiuto per la sua terra, oggi abbandonata al proprio destino di miseria. 
Confida il suo sogno a Maja e riconoscendo in lei la salvatrice degli universi, le indica la strada per la caldera e la informa che da lì si può accedere a diversi tunnel sotterranei tra cui anche a quello che conduce alla casa di Morana.

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Lona e Mona e la comunità Kurd di Procida

Procida

Avvertenza

Sebbene i paesi, nominati in questa pagina, esistano realmente sulle mappe del web, si avverte che non s’è inteso in alcun modo di darne una descrizione documentaria in questo spazio, nel quale ogni cosa — a cominciare dalla geografia — segue l’arbitrio dell’immaginazione.
Tutto il presente racconto è assolutamente immaginario e non si riporta né a luoghi, né a fatti, né a persone reali.

La descrizione letteraria

Su per le colline verso la campagna, l’isola in cui Mona e Lona soggiornano ha straducce solitarie chiuse fra muri antichi, oltre i quali si stendono frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali. Ha varie spiagge dalla sabbia chiara e delicata, e altre rive più piccole, coperte di ciottoli e conchiglie, e nascoste fra grandi scogliere. Fra quelle rocce torreggianti, che sovrastano l’acqua, fanno il nido i gabbiani e le tortore selvatiche, di cui, specialmente al mattino presto, s’odono le voci, ora lamentose, ora allegre. Là, nei giorni quieti, il mare è tenero e fresco, e si posa sulla riva come una rugiada. Ah, Lona e Mona non chiederebbero d’essere un gabbiano, né un delfino; si accontenterebbero d’essere uno scorfano, ch’è il pesce più brutto del mare, pur di rimanere sempre laggiù, a scherzare in quell’acqua.

La storia

Lona e Mona scoprono la pittoresca isola di Procida, di cui avevano appreso l’esistenza leggendo un avvincente e malinconico racconto della narratrice Elsa. Qui ricevono notizie preoccupanti dai gabbiani sull’ampiezza degli effetti del sortilegio di Morana. L’imperio di Bisanzio ha iniziato a reagire al triste attentato di alcuni giorni fa, in cui sono stati uccisi due bambini*.
La risposta del potente e autoritario Sultanato non è la conseguenza di una approfondita e obiettiva indagine volta a individuare responsabili e movente di quella tragica azione, bensì dell’immediata e opportunistica associazione: rivale politico=terrorista. E così da tre giorni piovono dal cielo spade e artigli che esplodono nei villaggi di etnia Kurd seminando lapidi e cenere.
Alcuni gabbiani, volontari dell’associazione per la pace negli universi, sono riusciti a mettere in salvo una piccola comunità di Kurd, aiutandola a fuggire e indicandole la direzione per raggiungere Procida.
Lona e Mona, appresa la notizia della presenza delle Kurd sull’isola, decidono di incontrarle e di trascorrere un po’ di tempo tra loro.
Le Kurd si mostrano da subito molto ospitali e preparano alle due lucciole dell’ottimo çay; poi, spiegano, in una specie di assemblea pubblica, il proprio progetto politico; un progetto di convivenza pacifica tra i popoli e di condivisione delle ricchezze; un progetto che fugge la violenza, che rinnega l’uso delle armi per offendere e che giudica inumana la viltà delle esplosioni innescate in luoghi lontani dai conflitti. Tra i sottili viottoli dell’isola Lona e Mona ascoltano queste storie, eco di molte altre giunte alle loro orecchie.
La situazione è ogni giorno più grave; Morana con la sua magia nera sta diffondendo il male negli universi così velocemente che presto non resterà più un briciolo di umanità.
Chissà – pensano – se Maja riuscirà a rompere in tempo l’incantesimo?
Poi guardano commosse l’isola; temono che possa svanire e cercano di memorizzarne ogni piccolo dettaglio, ogni colore, ogni linea, per conservare per sempre un ricordo di quella bellezza.

Posted in: Campania, I luoghi visitati da Maja, Italia, Napoli, Paesi, borghi e città

Dai Quartieri alla Certosa di San Martino

Maja e Dafne si ritrovano, ancora una volta, a camminare per i vicoli della splendida Napoli. Vie, palazzi, monumenti si presentano come tanti pezzi irregolari di un gigantesco mosaico. Un’armonia sporca fatta di stracci, di antenne e di lamiere di amianto corrose dalla ruggine. Dalla lontana Bisanzio giunge ai cuori delle due ragazze l’eco di un’esplosione insieme al dolore delle vittime.
Le guerre, foriere di devastazione e abbrutimento, continuano a imperversare nei Paesi orientali; i profughi navigano il turbolento oceano in cerca di una terra in cui chiedere asilo, ma vengono respinti dai cannoni delle navi da difesa degli stati frontalieri.
Ogni giorni l’aria si fa più pesante.
La bellezza della città partenopea non basta più a restituire il sorriso a Maja e Dafne; È come se fossero dentro un vortice irrefrenabile da cui sia oramai impossibile uscire. Avvolte da questa sensazione, dopo aver camminato a lungo per il corso, le due giovani si siedono ai piedi della Certosa di San Martino; Maja posa la sua testa sulla spalla destra di Dafne e insieme contemplano il panorama; intanto, la voce dei venti trasporta alle loro orecchie un affollato e confuso brusio composto dalle grida provenienti dal vicino stadio e dal rumore disperato della sofferenza dell’umanità.

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