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Castel Sant’Elmo

Appena scende dalla funicolare centrale di Napoli Maja si ritrova nel cuore del Vomero. È sperduta e non sa dove andare; mentre si guarda intorno le si avvicina un anziano signore napoletano.
“Corri di là – le bisbiglia guardandola negli occhi – Ma sbrigati o arriverai tardi. L’ora è ormai giunta!”

Maja si volta per un attimo nella direzione indicata e quando rivolge di nuovo lo sguardo verso il vecchietto, l’uomo è svanito nel nulla!
Davanti a lei c’è solo la strada deserta.

“Beh, poco importa – pensa Maja – se mi ha detto di correre un motivo ci sarà”.
E senza pensarci due volte si affretta decisa per una stradina in salita. Dopo qualche metro giunge di fronte a un grande, imponente e prestigioso castello e rimane affascinata dall’artefatta geometria di quell’irregolare ammasso di tufo giallo. Qualcuno la sta chiamando. È un omino napoletano che urlando cerca di avvisarla dell’imminente chiusura: “Cosa aspetti, corri, manca poco. Non vorrai mica rimanere fuori. Sopra tutti ti stanno aspettando da tempo.” 

Maja prende un biglietto e si dirige verso l’ingresso. C’è una porta, socchiusa. Maja la apre. Pochi passi ed entra in un ascensore che, pronto a iniziare il suo viaggio, sembra non attendere altri che lei. Comincia l’ascesa: 1, 2, 3, 10, 100, 1000 piani. In un frammento di secondo sale un’infinità di metri.
Il montacarichi si blocca solo al 1985° livello. Roba da pazzi! Si aprono le porte e Maja è in un luogo antico e moderno, sospeso nell’aria. Sotto di lei, Napoli, il Vesuvio, il Gran Pavese e la Certosa di San Martino. Ma non è finita qua.
Passeggiando sul lastrico solare incontra pittori affermati, maestri scultori e stravaganti artisti. Ne riconosce qualcuno: l’anarchico pittore Enrico Baj, lo scultore partigiano Umberto Mastroianni (zio di un famoso attore del cinema italiano), il Siciliano Emilio Greco e il transavanguardista Mimmo Paladino.
C’è chi dipinge, c’è chi lavora di scalpello, c’è chi gioca con macchine fotografiche e cineprese, qualcuno ozia su di una sedia di canapa, qualche altro contempla lo splendido paesaggio da un torr(i)one.
Tutti la salutano entusiasti e le raccontano uno spicchio della storia di Napoli; a detta loro si tratta dello “spicchio” di storia più “saporito” da quando esiste l’essere umano. Narrano di un’epoca lontana in cui Napoli era vessata da iniqui tributi, da esose tasse che impedivano alla povera gente perfino di respirare. A volte i più umili tra gli umili si ribellavano anche se spesso venivano con violenza repressi. Una delle rivolte più importanti fu capeggiata da un pescatore/pescivendolo di soprannome Masaniello. Fu una grande rivoluzione! Nonostante Masaniello e i suoi compagni formassero una specie di armata Brancaleone riuscirono nella loro impresa e, anche se solo per pochi giorni, riconsegnarono al popolo la libertà.
Non tutte le storie, miei cari piccoli lettori, finiscono però con il lieto fine e fu così che questi eroi a un certo punto si sentirono stanchi e smisero di combattere. Erano garzoni, pescatori, contadini e non erano proprio abituati a stare con l’archibugio in mano. Esausti, si misero a dormire. E mentre sognavano la rivoluzione appena incominciata, tutto, in un batter di ciglia, tornò a essere come era sempre stato. E ciò che era reale divenne utopia!

Finito di ascoltare questo racconto Maja si avvicina a un pittore dalla barba lunghissima. Si tratta del futurista Emilio Notte. L’artista le presta la sua tavolozza e la invita a dipingere (prendendo spunto dalla storia di Masaniello) la rivoluzione che un giorno avverrà. Che emozione! Immerge con trepidazione i pennelli nei colori, poi li fa roteare sulla tavolozza e crea un altro capolavoro.

Ma al rintocco delle campane della Certosa di San Martino scompaiono tutti gli artisti e il breve eco di una voce lontana fa seguire il silenzio a queste parole: “Fuggi o resterai imprigionata per l’eternità”.

Maja correndo veloce, con il cuore che le batte a più non posso, raggiunge una scalinata. La discende; sotto i suoi piedi si susseguono migliaia di rampe, tutte uguali. Niente sembra cambiare. Vorrebbe smettere. Ma a cosa servirebbe fermarsi? Forse solo a morire. Meglio, allora, continuare a correre, magari per l’eternità, ma almeno con la speranza di trovare un pertugio in cui intrufolarsi per uscire da questo orrido incubo.
Per fortuna quando scocca l’ultimo rintocco della campana Maja raggiunge l’uscita.

C’è un portone ed è aperto!

Maja lo varca senza esitazione e questo, un istante dopo, si chiude dietro di lei.

Le rimane il ricordo
di un sogno balordo
con bizzarri pittori,
e futuristi scultori,
con un tal Masaniello
in un giallo Castello
che le par di ricordar
si chiamasse Sant’Elmo.*

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