In un tiepido pomeriggio invernale nei dintorni di Chiusdino, nel cuore della verde Toscana, Maja conobbe un abate cistercense che la curò e le raccontò la antica storia del cavaliere Galgano.
Prima, però, di introdurre anche voi nella vita di una delle figure più appassionanti del pieno medioevo toscano, vorrei rendervi edotte ed edotti su quel che accadde a Maja la mattina che precedette quell’incontro; un incontro che avrebbe inevitabilmente cambiato il corso della sua vita.
Mentre era alla ricerca di Dafne, Maja incappò nel Mersedotto, il famoso ponte di legno che divideva le due sponde del fiume Merse. Nell’attraversarlo non si accorse però che molte delle assi che lo componevano erano vecchie, fradice e che, a causa del recente passaggio di una pantagruelica mandria di vacche sul ponte, erano quasi tutte sconnesse, e così, quando ne raggiunse il centro, inevitabilmente le assi si ruppero e lei capitombolò nel fiume. Certo, il rivo non era il Mississipi e l’altezza che lo separava dal manufatto era di pochi centimetri, ma l’impatto per la nostra amica non fu comunque privo di conseguenze; Maja sbatté un polpaccio contro una roccia appuntita e, poiché il depositarsi di materiale solforico proveniente dalle vecchie cave abbandonate aveva contaminato il fiume, si procurò anche una violenta dermatite che le provocò l’escrescenza di purulenti pustole viola su tutto il corpo.
Claudicante e urticata Maja perse l’orientamento e vagò disperata per ore per l’Alta Val di Merse, finché non si imbatté in un monumento sacro, imponente e mirabile: era la famosa abbazia dedicata al culto del leggendario Santo Galgano.
E siamo finalmente ritornati all’inizio della nostra storia, ossia all’incontro tra Maja e l’abate.
Dunque, come vi stavamo anticipando, quest’ultimo nel vedere la fanciulla malconcia la invitò a seguirlo e la accompagnò all’interno della erboristeria della confraternita; una piccola bottega piena di albarelli, bocce e vasetti contenenti una miriade di erbe e sostanze dai prodigiosi poteri curativi.
L’abate fece accomodare Maja, le preparò e le porse un infuso di malva locale, ed ella, seguendo le indicazioni del bugiardino datole insieme alla bevanda, la ingurgitò, ancora bollente, tutta di un fiato; gli effetti furono immediatamente miracolosi: le bolle svanirono e il dolore al polpaccio passò! Solo allora il custode di quel sacro tempio incominciò il suo racconto:
“C’era una volta un uomo dalla condotta di vita dissoluta e non esattamente irreprensibile. Vissuto in un’era di grandi battaglie costui, al compimento del diciottesimo anno di età, divenne, come molti suoi coetanei, cavaliere.
Da allora non ci fu un solo giorno in cui non uccise, non si ubriacò e non impose con violenza il suo amore alle dame più belle. La sua forza distruttrice non lo abbandonava mai e chiunque si trovasse davanti al suo ferro era destinato a perire.
In quell’efferato tempo in cui impazzava il cavaliere Galgano, vivevano i tranquilli gatti toscani. Essi erano assai imbufaliti. Poverini, avrebbero voluto vivere in pace, ma a causa degli uomini, per loro una vita serena era impossibile.
Così un giorno, stanchi della violenza che continuava senza sosta a imperversare, decisero di recarsi al vecchio olivo per chiedere a Federix, il più saggio tra i felini, un suggerimento su come affrontare quella drammatica situazione. Il sapiente vegliardo li consigliò con le seguenti parole: “Randagi di tutta la vallata, unitevi! Se la tranquillità volete far tornare dal Cavaliere Galgano dovete andare. In quest’epoca di apparizioni e di creduloni, dategli una ragione per levarsi dalle belliche tenzoni. Se lui si placherà, vedrete che anche il caos cesserà”.
Dette queste parole fece due colpi di tosse e poi spirò: aveva raggiunto la veneranda età di 10 vite.
La sera stessa i mici convocarono un’assemblea che si protrasse per tre notti e tre giorni e, alla chiusura dei lavori, stabilirono quale sarebbe stato il modus operandi per convincere Galgano a depositare la spada.
Si sarebbero travestiti da angelo e avrebbero finto di apparirgli in un sogno.
Perciò, si infilarono in tre dentro un grande lenzuolo bianco e, in precarissimo equilibrio, cercando di sforzarsi a non conficcarsi le unghie l’uno sull’altro, si recarono di notte nella sua stanza da letto, lo svegliarono e gli dissero parlando all’unisono: “Cavaliere Galgano sono il divino Gattangelo. Sono qui dinnanzi a te per rivelarti il nostro volere: ti abbiamo scelto, tra miliardi di esseri viventi, perché sappiamo che saprai far tesoro del segreto della vita. Ascolta ordunque queste nostre parole:
Se felice il mondo vorrai far diventare la spada in una croce dovrai trasformare, in una rotonda riparare e per sempre dovrai eremitare”.
Poi, l’angelo, ehm i gatti, svanirono nel nulla.
L’indomani Galgano, a differenza degli altri sogni di cui non rammentava mai niente, si ricordò con non poco stupore di ogni particolare della sua visione notturna; poi, dopo una profonda riflessione, comprese quanto fosse importante il compito che gli era stato affidato. Da lui dipendeva il destino del mondo. Era il prescelto!
Felice, si recò nella vicina Rotonda di Montesiepi, conficcò la spada in una roccia che ivi sorgeva, prese gli ordini e lì per sempre fu eremita.
Certo, nei giorni che seguirono la sua consacrazione, più di una volta, il santo Galgano si era svegliato con la voglia di tornare a far vibrare nuovamente le sue spade, ma alla fine ci aveva sempre rinunciato. Quella sua nuova e noiosa vita era un dono divino e lui l’avrebbe portata avanti, senza tentennamenti, seguendo la regola e l’ordine che aveva ricevuto.
E fu così che da quel momento in poi, la pace tornò, i gatti trascorsero un lungo periodo di serenità e tutti vissero annoiati e contenti.









