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Ghirlanda e i racconti del saggio grillo – Il passato

“Mia cara Maja” dice Cirillo volgendo lo sguardo prima alla fanciulla e poi all’orizzonte.

“Giungerà un momento in cui saprai che il tempo è passato” prosegue l’insetto ortottero.

Maja, fino a quell’istante catturata dalla naturalezza con cui una formica stava trasportando una briciola tre volte più grande e pesante di lei, si gira verso il grillo e sorridendo gli risponde: “Anche se sono molto giovane, sono già stata coinvolta in mille e più avventure e ho ben chiaro il concetto di tempo, di ciò che è stato, di ciò che è e di ciò che sarà.” 

 “Certo, mia piccola avventuriera, so bene in quali e quante imprese ti sei dovuta cimentare, ma io mi riferisco a un altro aspetto del tempo, definitivo e senza appello”.

Maja, turbata da quelle parole, interroga Cirillo con fare discente: “E quale sarebbe questo aspetto a me oscuro?”

“Arriverà un giorno, dolce eroina, in cui i tuoi sensi si indeboliranno e sentirai un peso nel percepire il mondo. Vorrai ancora dipingere tele, disegnare mappe e scoprire universi, ma la tua vista, il tuo udito e il tuo olfatto ti renderanno quello che prima ti appariva semplice, complesso se non impossibile”. Le risponde Cirillo con tono pacato.

 “Immagino che non sarà facile affrontare tutto questo?” Domanda, con un tremito di ansia, Maja.

“No, affatto. E sarà allora che capirai che il tempo è passato.” Replica il grillo in modo solenne.

“Soffrirò?” Lo incalza Maja.

“Dipende da quello che ti aspetti. Giunta a quel punto non potrai più trasformarti, ma potrai continuare a essere; e credo che… se ciò che sarai si avvicinerà all’idea di ciò che saresti voluta diventare, allora, forse, il tuo dolore sarà meno insopportabile.”

Cirillo non aggiunge più altro. Saluta la sua giovane discepola e salta verso nord in direzione di una alta rosa color sabbia.

Rimasta sola Maja cerca di ritrovare con lo sguardo la formica che poco prima stava osservando, ma a terra non c’è più traccia di lei.

Foto di Enrique da Pixabay

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Charles Dickens – Oliver Twist – Capitolo XLV

Senza un momento di considerazione, senza rivolgere la testa a dritta od a sinistra, o alzare gli occhi al cielo od abbassargli a terra, ma guardandosi innanzi con orrida risolutezza, coi denti sì stretti che pareva le mandibole volessero rompere la pelle, l’assassino se ne andò sempre di fretta, senza mormorare un accento, né rilassare un muscolo sinché non giunse a casa. Aprì dolcemente la porta, ascese le scale, entrò nella sua stanza, la chiuse a doppio, e messavi di traverso una grossa tavola, alzò le cortine del letto. La ragazza vi stava sopra vestita. Egli l’aveva destata, perciò alzossi in fretta e con l’occhio tuttavia sonnacchioso. «Alzati, — disse colui. «Siete voi, Guglielmo! — rispose la ragazza con espressione di piacere pel di lui ritorno. «Sì. Alzati». Ardeva una candela, ma il manigoldo la tolse dal candelliere, e la gettò subito fuori della gelosia. Vedendo la debole luce del dì che incominciava, la ragazza corse per aprire la cortina. 471 «Lasciala stare, — disse il Sikes mettendole una mano innanzi. — Vi è lume abbastanza per ciò che debbo fare». L’assassino guardolla per pochi secondi con dilatate sopracciglia e tardo respiro, indi prendendola alla testa ed alla gola, la trascinò nel mezzo della stanza, e guardando ancora verso la porta, pose l’altra mano sulla di lei bocca. «Guglielmo, Guglielmo, — disse la ragazza con voce soffocata, e lottando con tutta la forza di un terrore mortale, — io… io non voglio gridare… no… ascoltatemi… parlatemi… ditemi che cosa ho fatto. «Tu lo sai, infame! — rispose l’assassino appena respirando. — Fosti spiata in questa notte; ogni parola che dicesti fu udita. «Dunque risparmiatemi la vita, per amore del cielo, come io risparmiai la vostra, — aggiunse la ragazza avviticchiandosegli. — Guglielmo, mio caro Guglielmo, tu non avrai cuore d’uccidermi. Oh pensa a quello che ho fatto in questa istessa notte per te. Avrai tempo da riflettere e preservarti da tale delitto; non voglio lasciarti, non puoi rispingermi. Guglielmo, Guglielmo, per amore di Dio, medita prima di spargere il mio sangue. Ti sono stata fedele, per la colpevole anima mia, ti sono stata fedele».
Colui faceva a tutta forza per iscioglierle le braccia, ma erangli strette intorno, e benchè risoluto a straziarle, pure nol poteva. «Guglielmo, — gridò la ragazza cercando di poggiare la testa sul di lui petto, — quel signore e quella ottima giovinetta in questa notte mi parlarono di una casa in qualche straniera contrada ove potrei terminare i miei giorni in solitudine e pace. Lascia che gli rivegga, ed a ginocchio gli preghi di avere la istessa pietà per te, ed abbandoniamo entrambi questo luogo spaventevole, e lungi conduciamo vita migliore, e dimentichiamo la passata con impetrarne perdono dal cielo, né riveggiamo più alcuno dei nostri. Il pentimento non è mai troppo tardo. Così essi mi dissero — ed ora anche il sento — ma avremo… poco, poco tempo!» L’assassino si sciolse un braccio, ed abbrancò una pistola. La certezza di un’immediata prigionia se avesse sparato gli venne subito nel pensiero, anche nel bollore dell’ira, e ne pestò la impugnatura con quanta forza potette raccogliere due volte su quel viso che quasi toccava il suo. Essa barcollò e cadde, semi-cieca pel sangue che pioveva dirotto da una larga ferita della fronte, — pure ergendosi a gran fatica in sulle ginocchia, trasse dal seno un fazzoletto, — quello di Rosa Maylie, — ed alzandolo con le mani giunte quanto più poteva verso il cielo, mormorò, secondo le infievolite forze gliel permettevano, una estrema preghiera al suo Creatore. Era una figura di spettro. L’omicida barcollando se ne andò verso il muro, e, chiudendosi con una mano gli occhi, presa una grossa mazza, la percosse, ed essa perdette la voce ed il respiro per sempre.

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Una nuova avventura

Un bel giorno di maggio accadde qualcosa di straordinario. Una bambina bussò alla porta di Mona e Lona mentre le due erano, come sempre, impegnate a organizzar rivoluzioni. I suoi occhi scuri illuminarono il viso delle lucciole e il suo sorriso scaldò in un istante i loro cuori. La piccola fanciulla, dopo essere entrata, si presentò e disse: “Mi chiamo Ghirlanda e vengo da un luogo distante nel tempo e nello spazio. In passato mi è accaduto qualcosa di incomprensibile e, d’improvviso, mi sono ritrovata senza la mia famiglia. Per un po’ sono stata ospitata da Trilly all’Isola che non c’è. Poi, però, sono dovuta partire. Ho percorso molta strada per arrivare presso la vostra casa e credo che di trovarmi proprio nel posto dove devo stare.

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Il movimento del ’77

C’è stato un tempo, nel passato, in cui l’arte si sforzava di mostrare il non senso della violenza scagliata contro quei movimenti fioriti da un sogno di una società più giusta.  

MajaDafne entrano in una cineteca e si documentano su fatti accuditi prima della loro nascita per comprendere un po’ meglio il presente.”

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Lettera dal carcere di Massimo Lettieri ai compagni della Ri-Maflow

Carissimi compagni e compagne,

‘se lavorare è un reato arrestateci’. Bene, l’hanno fatto!! La nostra provocazione al sistema produttivo italiano l’abbiamo fatta, come da previsione nessuna risposta positiva è arrivata, in cambio solo un’azione repressiva.

Aver letto sul dispositivo di essere un criminale socialmente pericoloso (mi ha colpito, direi sconvolto) evidenzia il declino del sistema, ancor più perché è stato programmato nei mesi di luglio e agosto.
Nei mesi di luglio e agosto 2010 ho partecipato alle trattative presso il Ministero dello Sviluppo Economico. Ad agosto 2010 è stata ceduta l’attività produttiva di Maflow SpA ad un gruppo polacco, producendo 230 lavoratori licenziati. Nel mese di agosto 2012 il gruppo polacco annuncia la chiusura dello stabilimento storico di Trezzano sul Naviglio con il licenziamento delle restanti lavoratrici e lavoratori.
Nelle trattative ho notato che ai tavoli istituzionali i funzionari sedevano fisicamente al lato opposto dei lavoratori, vicino ai padroni.
Le storture del sistema han prodotto cinque milioni di poveri ed altri dieci milioni di precari che per paura della povertà sono disposti a tutto.
In carcere la visione della società non cambia, la maggior parte dei detenuti sono analfabeti o semi-analfabeti, economicamente sostenuti dalla delinquenza organizzata, oppure sono poveri.
Pochi sono i detenuti con un’istruzione superiore o con compiti di rilievo; si racconta che tra i detenuti ci sia un sindaco, un avvocato, comunque restano mosche bianche, numericamente parlando. Essere descritto come un criminale socialmente pericoloso mi preoccupa, è da quando sono nato che mi appassiono alle esigenze della società.
Negli ultimi dieci anni sono stato al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno pagato la crisi economica con la perdita del posto di lavoro o la perdita dei diritti nei luoghi di lavoro. Insieme a voi, l’assemblea di RiMaflow,  ho partecipato alla costruzione della comunità, che difende la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori attraverso il salario prodotto con il lavoro.
La difesa di un luogo abbandonato dal sistema produttivo, recuperato e riconsegnato alla società; anche il mio matrimonio con Anna organizzato in un bene confiscato alla mafia, al fianco della comunità “Casa Homer” dei minori non accompagnati di don Massimo Mapelli, tutto di me è intriso di socialità; non voglio dimenticare l’adesione personale a “Fuorimercato”, al movimento delle “Fabbriche recuperate”, ai movimenti popolari organizzati da papa Francesco, che proprio sulla questione rifiuti il papa – da vescovo di Buenos Aires – ha organizzato i cartoneros: ancora oggi l’organizzazione fornisce un reddito di base ai raccoglitori di carta e cartone.
La legalità nostrana prevede autorizzazioni di grossi magazzini di stoccaggio, che hanno le stesse criticità ambientali tipiche del settore. Rischio sversamento nel terreno, rischio incendio. Nell’ultima estate si è incendiato il magazzino di Milano Muggiano di proprietà dell’AMSA e un altro magazzino a Caivano (Napoli); potrei citarne altri dieci ma in carcere sono senza Google per fare le ricerche…
Questo sistema produce profitti per chi ha le autorizzazioni e danni ambientali alle comunità che li ospitano.
La legge non è uguale per tutti, le carceri sono costruite per i poveri, i maggiori utilizzatori.
RiMaflow non deve fermarsi. In autogestione le forme di organizzazione sono dinamiche, ho la certezza che l’assemblea sarà capace di dare risposte ai problemi chiamati a risolvere.
In una delle tante assemblee che abbiamo fatto ho ricordato le parole di Kennedy che in un discorso disse più o meno (no Google): “Non chiedete cosa può fare per voi la società (l’America), ma chiedetevi cosa posso dare io alla società, una società forte può garantire la protezione necessaria all’esistenza”…
Mi considero un uomo con un forte senso civico, ho pensato che insieme a voi avrei potuto risolvere molti problemi che il sistema ha prodotto. Non vi nascondo che sono emotivamente provato, per mia fortuna sento la vicinanza della mia famiglia, Anna tutte le settimane mi porta notizie positive sulla resistenza di RiMaflow, mi porta inoltre l’energia che solo l’amore può ricaricare per resistere nella privazione della libertà. Rinchiuso dietro le sbarre mi sento come un leone in una gabbia dello zoo.
Concludo con le parole di don Milani: “A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?”

Un abbraccio

Massimo

OCUPAR RESISTIR PRODUCIR

OGGI E SEMPRE RESISTENZA

Rimaflow.it

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Newroz / 24 marzo 2018

In un’epoca di guerra c’è ancora un piccolo gruppo di sognatori che a Roma, al Campo Boario, continua a festeggiare il Nuovo Inizio.
Maja condivide quel sogno.
Trascorre il tempo a imparare e a ripetere le loro parole: resistenza, libertà, pace, diritti, felicità.
Maja è vicina al loro dolore. Il dolore di Afrin, di Kobane, di tutto il Rojava.
E, nonostante negli altri posti degli universi il potere continui a usare toni e parole violente, è convinta che un giorno l’essere umano rinascerà da quella terra povera e ferita, da quella terra che non ha ancora smesso di sognare.

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Per le strade di Monte Mario

Quel giorno a Roma non c’era la neve. Era da poco finita l’estate e Walter aveva solo vent’anni.
Volarono pietre in via delle Medaglie d’Oro. Volarono in nome dell’odio e della vendetta.
L’odio dei neri per i rossi e la vendetta per dei violenti colpi di pistola che nel maggio di quello stesso anno avevano colpito Enrico alla schiena.
La vendetta, in realtà, era esplosa già il giorno prima ai danni di un’altra giovane di 19 anni, Elena.
Era stata ferita da tre colpi di arma da fuoco in quella stessa piazza Igea, oggi luogo della memoria di Walter.
Non furono solo i sassi a scagliarsi contro i corpi ancora adolescenti di chi volantinava, manifestava, esprimeva il proprio dissenso, ma anche i proiettili partiti dalle mani di altri ragazzi.

Walter cadde a terra davanti a una pompa di benzina mentre in un’atmosfera surreale una vespa si allontanava tra la folla.
I soccorsi tardarono ad arrivare e per quel ragazzo non ci fu più niente da fare.
Era il 30 settembre 1977.
Seguirono nuovi anni di tensioni, di morti ammazzati, di stragi.

Oggi, per quelle stesse strade Maja si imbatte in altri ventenni.
Stanno giocando a lanciarsi palle di neve. 
E nell’osservare i loro sorrisi in lei riaffiora il ricordo di quello di Walter.
Un’immagine sbiadita che sembra volerla avvertire di quanto sia grande la sua personale responsabilità nei confronti di quella gioventù.
Sa di avere l’obbligo morale di non restare indifferente. E così inizia a dipingere un mondo migliore. 
Un mondo che non può, e non deve, comprendere più quel passato stonato di quarant’anni fa.

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