26 metri. È questa la distanza che separa le acque del piccolo e sinuoso fiordo del Ciolo dalla vetta del grigio ponte di cemento armato che lo domina dall’alto. Qualcuno parla anche di 36, 37, 40 metri, ma la misura di 26 metri dovrebbe essere la più attendibile. Maja e Dafne giungono in questa località del Salento a poche curve di distanza dalla nobile Santa Maria di Leuca in una calda giornata di metà ottobre. Sulla cima del ponte fluviale incontrano i folli, aitanti giovanotti che per dimostrare il proprio coraggio si tuffano impavidi dal viadotto. Marco, un ragazzo particolarmente corpulento, racconta alle due fanciulle la bellezza del “volo”, le informa che si tratta di un’esperienza irrinunciabile e prova a convincerle a seguirlo nell’impresa.
Maja e Dafne si guardano perplesse. L’altezza è veramente proibitiva e, tra l’altro, lo svolgimento di quell’impresa non produrrebbe alcun effetto positivo nell’universo.
Non avendo dunque la minima intenzione di assecondare quel pazzo, le due ragazze declinano l’invito e chiedono a un suo amico le indicazioni per un percorso alternativo, più adatto e meno pericoloso, per raggiungere l’incantevole spiaggia. Ma, contrariato dall’atteggiamento indisponente di Maja e Dafne, il paffuto giovanotto le strattona per le braccia e le trascina con forza verso il luogo deputato per il salto.
Per fortuna, proprio quando anche l’ultima possibilità di scampare al compimento di quella azione sciagurata sembra ormai svanire, Cecilia, una bellissima e minuta ragazza appartenente al gruppo dei savi, nota la scena e, con fare risoluto, si dirige verso il terzetto.
Appena raggiunto il gruppo, si scaglia contro Marco: prima lo rimprovera riempiendolo di insulti e poi gli molla un sonoro ceffone.
Marco, stordito, lascia la presa e inizia a frignare a più non posso.
Grazie a Cecilia Maja e Dafne sono salve e possono finalmente raggiungere la spiaggia attraverso un comodo e sicuro sentiero.
Durante la loro discesa a mare assistono al tuffo del baldanzoso e folle giovane che, in volo, le sbeffeggia definendole codarde e vigliacche.
In vero, più che codarde avrebbe dovuto definirle coscienziose. Infatti, il suo impatto con l’acqua non è, usando un eufemismo, dei più morbidi e gli procura la rottura di un paio di costole, un importante trauma cranico e la perdita di coscienza.
Ma i danni sarebbero potuti essere ben peggiori se i savi, gli amici di Cecilia che abitualmente frequentano il piccolo lido, non si fossero immediatamente adoperati per recuperare dal fondo dell’acqua il giovane tramortito e non avessero immediatamente chiamato i soccorsi.





