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Per le strade di Monte Mario

Quel giorno a Roma non c’era la neve. Era da poco finita l’estate e Walter aveva solo vent’anni.
Volarono pietre in via delle Medaglie d’Oro. Volarono in nome dell’odio e della vendetta.
L’odio dei neri per i rossi e la vendetta per dei violenti colpi di pistola che nel maggio di quello stesso anno avevano colpito Enrico alla schiena.
La vendetta, in realtà, era esplosa già il giorno prima ai danni di un’altra giovane di 19 anni, Elena.
Era stata ferita da tre colpi di arma da fuoco in quella stessa piazza Igea, oggi luogo della memoria di Walter.
Non furono solo i sassi a scagliarsi contro i corpi ancora adolescenti di chi volantinava, manifestava, esprimeva il proprio dissenso, ma anche i proiettili partiti dalle mani di altri ragazzi.

Walter cadde a terra davanti a una pompa di benzina mentre in un’atmosfera surreale una vespa si allontanava tra la folla.
I soccorsi tardarono ad arrivare e per quel ragazzo non ci fu più niente da fare.
Era il 30 settembre 1977.
Seguirono nuovi anni di tensioni, di morti ammazzati, di stragi.

Oggi, per quelle stesse strade Maja si imbatte in altri ventenni.
Stanno giocando a lanciarsi palle di neve. 
E nell’osservare i loro sorrisi in lei riaffiora il ricordo di quello di Walter.
Un’immagine sbiadita che sembra volerla avvertire di quanto sia grande la sua personale responsabilità nei confronti di quella gioventù.
Sa di avere l’obbligo morale di non restare indifferente. E così inizia a dipingere un mondo migliore. 
Un mondo che non può, e non deve, comprendere più quel passato stonato di quarant’anni fa.

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Parco del Santa Maria della Pietà

Maja e Dafne vivono un’avventura drammatica e incredibile nel Parco del Santa Maria della Pietà.
Il loro peregrinare le porta all’ingresso dell’ex manicomio di Roma; il sito sorge all’interno di un parco famoso per le esotiche piante e per le rare specie di fiori, che le nostre amiche decidono, piene di entusiasmo, di visitare.
Ma poco dopo averne varcata la soglia quel luogo, all’apparenza gioioso, si trasforma in uno scenario da incubo.

Le piante avvizziscono e i palazzi assumono le sembianze di orribili mostri, si animano e iniziano a correre verso di loro. Mentre il più grosso e più ripugnante sta per raggiungerle arriva un pulmino; l’autista fa cenno a Maja e Dafne di salire; le due compagne non se lo lasciano ripetere due volte ed entrano; quindi inizia la corsa!

Nella vettura è indicato su tutti i posti a sedere un numero: il 914. Il mezzo al suo interno è molto più grande di come appariva da fuori. L’autista corre velocissimo per le tortuose stradine del parco e conduce il pullman dentro la bocca di un enorme bisonte. Raggiuntone lo stomaco si ferma, scende e invita Maja e Dafne a fare altrettanto consigliando loro un giro di perlustrazione. Hanno un’ora di tempo.
Le due donne si accorgono di non essere dentro la pancia dell’enorme animale, ma in una grande casa senza uscite, con le finestre e le porte murate. Su un muro è scritto il numero 22.
D’improvviso da una camera giungono in marcia più di mille pinocchi, camminano avanti e in dietro lungo i corridoi ed entrano ed escono dalle altre stanze riempiendo l’intero edificio. Sul cappello hanno incisa la scritta “malati cronici”.
Maja e Dafne ne avvicinano uno e gli chiedono: ” Chi siete? Cosa fate in questo carcere cupo?”

Quello, senza fermarsi, le guarda e risponde:
“Siamo uomini e donne prigionieri dei nostri burattini; un tempo eravamo liberi, vivevamo felici e in pace finché altri uomini hanno iniziato a combatterci per imporci le loro strane divinità. Noi che non credevamo negli Dei siamo stati giudicati pazzi e malati.
Ci hanno convocato in un centro medico specializzato, ma non sono riusciti a curarci e ci hanno rinchiuso. Abbiamo provato a fuggire in cerca di una terra lontana, ma prima il deserto, poi il mare e infine i predoni ci hanno annientato. Solo pochi di noi sono arrivati a destinazione. Ma la terra che avevano raggiunto non era un Eldorado, ma un inferno forse ancora peggiore. Ci abitava chi aveva fabbricato le bombe che ci avevano ucciso. Siamo di nuovo scappati; disperati e allo stremo delle forze ci siamo gettati in mare e lì, per nostra fortuna, una balena dal cuore d’oro ci ha salvato. Ci ha ospitato nel suo ventre finché non è stata uccisa, colpita da un’esplosione.
Neri soldati ci hanno prelevato dal suo corpo e ci hanno rinchiuso qua dentro, oramai centinaia di anni fa”.


Ascoltando questa storia Maja e Dafne si commuovono. Provano pena per quelle povere anime, ma si accorgono anche che, dietro le spalle i burattini hanno delle piccole ali e che, in cima al tetto di ogni stanza, c’è un foro abbastanza grande da poter essere attraversato da una persona.

Dafne intuisce una speranza e urla con tutta la sua forza: “Sciocchi pinocchi, fermatevi! Smettetela di marciare! Se provate a saltare, a fare un passo più lungo della gamba, forse…
Gli omini di legno si guardano tra loro, poi tentano il salto, ma senza successo. Disillusi sono sul punto di riprendere il loro insensato e monotono cammino, ma uno di loro riesce a fare un balzo più grande e inizia a volare.
“Ohhhhhhhh”.  
Pieni di stupore i pinocchi riprendono a saltare con più vigore di prima e piano piano riacquistano la libertà.
Nel frattempo giunge il pulmino. Maja e Dafne ci salgono e dopo qualche minuto inizia la corsa. L’autista accelera e sembra voler andare a sbattere contro un muro ma, un istante prima della collisione, si apre una porta. Sono di nuovo nel parco del Santa Maria della Pietà. Non ci sono più mostri, ma prati alberi e fiori. Maja e Dafne scendono alla prima fermata, tutto sembra di nuovo normale. Forse avranno soltanto sognato. O forse si sono appena addormentate mentre intorno a loro si muovono mostri, pinocchi e orribili creature.

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