Genova De André
Posted in: I luoghi visitati da Maja, Italia, Liguria, Paesi, borghi e città

Genova, la città vecchia

Il sole è già alto nel cielo quando Maja e Dafne arrivano al porto di Genova. Nei pressi del Bigo si imbattono in un personaggio dallo stravagante abbigliamento in cui spiccano dei vistosi guanti bianchi, una giacca verde pisello e un’enorme bombetta. Il tizio dallo smaccato accento tedesco (tanto forzato quanto poco credibile) si presenta: “Boncioorno signorine, yo so el Professor Kranz, grante illusonista. Benvenute nella sittà te la lanterna!” e si toglie dalla testa lo smisurato copricapo. 

Poi, estrae dalla tasca della giacca una bacchetta magica con la punta a forma di testa di grifone, la fa roteare e pronuncia una incomprensibile formula che conclude annunciando quelli che saranno i suoi prodigiosi effetti: “Ganz i de ganze kranz, quella strata sopralevata spatrirà!”.
Ma, nonostante l’atteggiamento superbo e sfrontato e l’elaborato movimento della verghetta incantata, qualcosa va storto.

Preso dall’impeto, il Professore scaglia con violenza la bacchetta contro il tendine più sensibile del suo ginocchio destro. Ne conseguono tre eventi di differente intensità drammatica: la rottura del prezioso strumento magico, la propagazione alle vicine province dell’onda sonora prodotta dal conseguente urlo dell’uomo (grido di intensità sconosciuta ai mortali), e la sparizione al posto della superba e poco armoniosa opera ingegneristica degli anni Sessanta (che non si sposta di un solo millimetro) proprio del bizzarro Professor Kranz, sedicente mago, ma, in vero, improbabile apprendista.
Seppur oramai invisibile ed etereo lo stregone “Tedesco di Germania” riesce ancora a pronunciare delle parole: “Antate a via tel Campo e prendete la graziosa fanciulla dalla pelle color tell’ebano per mano”. 
Maja e Dafne, disorientate dall’inaspettato e poco ordinario incontro, decidono, dopo essersi scambiate un veloce cenno d’intesa, di seguire le indicazioni del Professore. Chiedono informazioni a un tanto efficiente quanto affabile spazzino del luogo che mostra loro la direzione da seguire per raggiungere Via del Campo, nel cuore vivo della città antica.
Giunte a destinazione la loro attenzione viene subito attirata da un giovane pittore seduto su una vecchia e logora sedia di paglia e di legno; l’uomo, magro e ben vestito, ha una una lunga e irregolare frangetta che copre parte della metà destra del suo viso. Sta colorando con dei pastelli un paesaggio invernale malinconico, disperato e sublime. C’è la nebbia e ci sono i prati bianchi, c’è un campanile che segna il confine tra la terra e il cielo, c’è il biancospino e c’è la neve che cade sui campisanti.
Poco distante dal talentoso artista, immobile come una statua, si trova Jamilah, una ragazzina nigeriana dalla pelle scurissima, vestita di pezze e di stracci sdruciti. Sembra aspettare qualcuno. È bella, affascinante leggiadra.
È certamente lei la ragazza che stanno cercando. Le si avvicinano, si presentano e le chiedono, non senza imbarazzo, di poterla prendere per mano. Ma nell’ascoltare quella curiosa richiesta e lei a sorprenderle anticipandole e prendendo l’iniziativa; afferra le mani delle due avventuriere e le trascina con sé in una folle e divertente corsa per i carruggi, le piazze e i monumenti della sua città. 
Durante il tragitto Jamilah racconta a Maja e Dafne la storia dell’antica Repubblica Marinara, una storia di prestigio, di fiorente commercio con i banchieri tedeschi, ma anche di povertà e di umiliazione. “Povertà e umiliazione presenti ancora oggi – aggiunge la giovane africana – in quelle strette vie dove non batte mai il sole e dove troppe donne vengono senza colpa condannate a un triste destino di sfruttamento e violenza”. 

Donne arabe, nordafricane, italiane, costrette a trascorrere la maggior parte del tempo in piedi all’aperto.
Maja e Dafne decidono di incontrarle e si offrono di aiutarle; vorrebbero liberarle da quella condizione disperata, ma Jamilah, ringraziandole per la solidarietà, le dissuade dalla assurda idea di intentare quella che sarebbe: “una tanto eroica quanto inutile impresa”.

“Neanche con il vostro aiuto, purtroppo, saremmo in grado di contrastare i potenti e crudeli aguzzini che ci comandano come se fossimo marionette inanimate. E una ribellione mal ponderata finirebbe soltanto per peggiorare la nostra già misera condizione. Mi dispiace, ma al momento non possiamo far niente”.
Maja e Dafne sconvolte e svuotate, abbracciano le donne una ad una per confortarle. E mentre le stringono forte scelgono di non trattenere le lacrime, che inevitabilmente cadono dai loro occhi, lasciando così trasparire quella sensazione di profonda inadeguatezza che stanno provando nel sapersi impotenti di fronte a un male tanto grande.
Ma non c’è tempo per fermarsi oltre. Il giro deve proseguire velocemente per evitare che qualcuno si accorga dell’assenza di Jamilah. Le tre giungono all’ingresso del lussuoso Palazzo Rosso. Quando varcano la soglia del regale edificio le vesti di Jamilah si trasformano: le pezze diventano un sontuoso abito di seta e le irregolari scuciture pregiati ricami.
Le giovani donne superano numerose scale,  grandi stanze, interminabili corridoi; montano, infine, dentro un ascensore con il quale salgono, in meno di un secondo, 570 piani.
Al termine della corsa Maja, Dafne e Jamilah sono sul tetto più alto della città.Tutto intorno a loro Genova, abbarbicata sulla collina di Carigliano e tinta dal caldo sole del tramonto, si mostra superba in una perfetta veduta d’insieme composta dalle diverse architetture che nel corso dei secoli si sono mescolate, alternate e sovrapposte.

Gli uccelli, di vedetta sulle vicine e irregolari tegole, dominano le case, le barche e il mare, mentre un gabbiano cullato dalla dolce brezza della sera si addormenta e fa un sogno: Jamilah e le sue compagne stanno danzando e cantando lungo i carruggi in festa. Sono finalmente libere e felici; non hanno più paura. Gli sgherri che per anni le avevano ridotte in un’anacronistica schiavitù sono stati definitivamente cacciati via dalla città.

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