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Dai Quartieri alla Certosa di San Martino

Maja e Dafne si ritrovano, ancora una volta, a camminare per i vicoli della splendida Napoli. Vie, palazzi, monumenti si presentano come tanti pezzi irregolari di un gigantesco mosaico. Un’armonia sporca fatta di stracci, di antenne e di lamiere di amianto corrose dalla ruggine. Dalla lontana Bisanzio giunge ai cuori delle due ragazze l’eco di un’esplosione insieme al dolore delle vittime.
Le guerre, foriere di devastazione e abbrutimento, continuano a imperversare nei Paesi orientali; i profughi navigano il turbolento oceano in cerca di una terra in cui chiedere asilo, ma vengono respinti dai cannoni delle navi da difesa degli stati frontalieri.
Ogni giorni l’aria si fa più pesante.
La bellezza della città partenopea non basta più a restituire il sorriso a Maja e Dafne; È come se fossero dentro un vortice irrefrenabile da cui sia oramai impossibile uscire. Avvolte da questa sensazione, dopo aver camminato a lungo per il corso, le due giovani si siedono ai piedi della Certosa di San Martino; Maja posa la sua testa sulla spalla destra di Dafne e insieme contemplano il panorama; intanto, la voce dei venti trasporta alle loro orecchie un affollato e confuso brusio composto dalle grida provenienti dal vicino stadio e dal rumore disperato della sofferenza dell’umanità.

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Celleno, il papero Ascanio e la pecorella Gisella.

Corre l’8 di gennaio dell’anno 2022; Maja, dopo la sosta a Vitorchiano, si avvia a nord in direzione delle mistiche terre umbre, lungo le verdi valli viterbesi, note ai più per la loro rara ricchezza idrografica.
A pochi passi dal fosso Calenne la nostra eroina scorge uno strano papero, buffo nei movimenti ed eccentrico nel vestiario; anche il pennuto si accorge di Maja e, starnazzando con ossessione, tenta di richiamare la sua attenzione.
“Signorina Maja, signorina Maja, mi permetta di presentarmi. Sono il papero Ascanio, antico erede della dinastia degli Ascani. Non so se lei sa… Ma, poco più avanti, a circa 900 metri da qua, esiste un borgo fantasma chiamato Celleno, con una particolarità unica negli universi; appare soltanto nei minuti pari delle ore dispari dei giorni pari dei mesi dispari degli anni pari.
E si dà il caso che a breve ci troveremo proprio in quella congiuntura temporale e, vista la straordinaria opportunità, qualora a lei fosse venuta la curiosità di visitarlo, sarei onorato di scortarla”.
“Nobile Ascanio” gli risponde Maja “La ringrazio per la sua offerta ma, come è noto anche a Lei, a causa della maledizione di Morana, oggi non è semplice entrare nei luoghi e non vorrei che scoprendo chi sono, ossia un’estranea priva dei documenti di questa regione, non mi lasciassero entrare”.
Ma Ascanio la rassicura: “Di questo, mia dolce Maja, non ti devi preoccupare; nel borgo di Celleno questo problema non c’è; si lasciano entrare tutti sia i sani che i malati, sia i credenti che i riluttanti.
“E non è pericoloso?” chiede con timidezza la fanciulla.
“No, non lo è” controbatte con decisione Ascanio “A Celleno gli effetti della stregoneria vengono annullati; per esempio, chi entra nel paese già contagiato, nel varcar la soglia, viene mondato.
E ti dirò di più, lì potrai carpire nuovi segreti su come neutralizzare l’incantesimo della perfida strega anche nel resto degli universi”.
“Beh, se le cose stanno in questo modo” replica Maja con rinnovato entusiasmo “Non vedo perché non dovrei accettare la tua interessante offerta. Per me possiamo anche andarci subito!”
Detto, fatto e, trovata l’intesa, l’improvvisata coppia si mette subito in marcia;
Ascanio si muove quasi twerkando mentre Maja cammina con passo deciso e regolare.
I due giungono alla volta di Celleno alle 10 e 59 ma, nonostante si trovino a pochi mignoli dalla porta principale del paese, davanti ai loro occhi appare soltanto un verde pascolo collinare.
“Siamo arrivati!” Esclama trionfante Ascanio come se, anziché qualche centinaio di metri, avesse percorso migliaia di chilometri.
“Ma io non vedo niente” gli risponde Maja non nascondendo la sua delusione.
“Per forza” riprende il papero “lo spazio è giusto, ma il tempo è ancora sbagliato; per fortuna, si tratta di una situazione provvisoria e tra pochissimo non solo il luogo, ma anche il momento sarà perfetto”.
E, in effetti, malgrado l’incredulità di Maja, non appena la locale meridiana indica le 11 e 00, appare come per incanto, materializzandosi di fronte alle luccicanti iridi de due visitatori, l’antica Celleno in tutta la sua rusticità.
A mostrarsi non sono solo le case, ma la vita: le persone che affollano il borgo, gli animali che scorrazzano per le vie, i rumorosi banchi di mercato, gli stravaganti mezzi di trasporto e oggetti di ogni forma e dimensione.
All’ingresso del paese, una freccia indica: “Casa della pecorella Gisella e di sua sorella”.
Ascanio fa cenno a Maja che quello è il posto in cui devono andare e, dopo un immediato segno d’intesa della ragazza, i due si dirigono, addentrandosi nell’abitato, nella direzione del segnale. 
Lungo la via si imbattono in Ornello, un locale asinello assai curioso, che, dopo essersi fatto riccamente i fatti suoi e aver preteso di conoscere vita, morte e miracoli di Maja e di Ascanio, consiglia loro la via più agevole e veloce per raggiungere Gisella e la sorella.
Il pennuto e la ragazza lo ringraziano per l’informazione e per sdebitarsi del gradito suggerimento raccolgono, prendendolo da un vicino capannone, un po’ di fieno per lui.
Quindi, riprendono il cammino che si rivela più corto del previsto; percorsi pochi metri, difatti, arrivano a destinazione dove ad attenderli c’è un enorme portone arancione con dei tanto pesanti quanto intarsiati pitocchi. Sul portone è affissa la scritta: “Se entrar vorrai, al contempo quattro volte i batocchi batter dovrai”.
Appresa quell’istruzione, Maja e Ascanio si coordinano, armeggiano i battenti e, con ritmo e precisione, al primo tentativo riescono ad avviare il macchinoso ingranaggio di apertura dell’imponente portone.
Appena si crea lo spazio sufficiente per passare i due amici, senza aspettare, varcan la soglia; nel farlo, alzano il capo e il loro sguardo si imbatte in uno sfarzoso cortile in cui, come tasselli di un mosaico, si alternano bacche, piante e germogli.
Al centro della bucolica scena bruca Gisella; poco distante sua sorella.”Beeeee, non aver paura principessa Maja, ti stavamo aspettando. Beee, per favore, vieni qua e siediti vicino a noi; abbiamo alcune cose importanti da dirti; Beee, nel frattempo, prode cavalier Ascanio, potrebbe allisciare il pelo a me e a mia sorella? Se qualcuno non ci aiuta, presto assomiglieremo più a delle cantanti giamaicane che a due batuffolosi ovini. Le saremmo davvero molto grate”.
E così, mentre Ascanio cerca, con estrema fatica, di sbrogliare le intricate matasse di lana di Gisella e della sorella, Maja si accomoda sull’erba tra le due pecorelle e si prepara ad ascoltare il racconto che le è stato annunciato.
“Devi sapere” inizia Gisella “che Morana con il suo sortilegio di pandemia oltre ad aver messo in pericolo la vita di tantissimi esseri viventi ha iniettato nei loro animi qualcosa di ancor più terribile della stessa malattia: la Paura; è grazie alla Paura se Morana oggi riesce a controllare molto più facilmente i mondi e, di conseguenza, ad accrescere ancor di più il suo già terribile potere.
Sappiamo che sono stati creati diversi antidoti per contrastare il virus, ma sappiamo anche che gli effetti salva vita di questi vaccini sono provvisori, limitati nel tempo e che le controindicazioni non sono chiarissime. Purtroppo, questa indeterminatezza provoca un cortocircuito sociale.
E, se da una parte al fine di rassicurare i suoi elettori il potere dominante ridimensiona le fragilità degli antidoti che contrastano la maledizione di Morana, dall’altra una potente setta, sovvenzionata in modo occulto dalla stessa strega, mira a provocare una forte destabilizzazione degli universi manipolando e ingigantendo i dati di quelle fragilità. Nell’un caso e nell’altro si tratta di operazioni politiche che sfruttano la stanchezza e la rabbia dei molti per far acquisire più privilegi ai pochi. Questa dialettica del potere persegue sempre un unico scopo: arricchirsi, se necessario anche attraverso la guerra.
Oggi, infatti, malgrado la conoscenza della storia, si continuano a fare tanti tipi di guerre: verbali, psicologiche, con le armi; tutte accomunate sempre dallo stesso denominatore comune: la violenza. In questo contesto Morana ha gioco facile, ci sguazza! Sa bene che le pulsioni degli esseri viventi, se stimolate, obnubilano completamente le loro menti. Abbiamo poco tempo perché sta acquistando un potere immenso. Ma bisogna provarci e noi ti diremo quello che devi fare. Per contrastare quella diabolica megera e per uscire dalla pandemia devi svegliare le coscienze e stroncare sul nascere la violenza; solo così potrai arginare il diffondersi di una rabbiosa, immotivata e incontrollabile contrapposizione.
Qui a Celleno il nostro locale stregone riesce ad annullare gli effetti della maledizione di Morana, ma, purtroppo, la sua magia non ha effetto oltre le mura della città. Fuori, data la mancanza della protezione del nostro mago,  l’equilibrio andrà ristabilito in modo diverso e tu, Maja, dovrai essere la guida di questa missione; dovrai far capire agli esseri viventi che incontrerai lungo il sentiero che non devono aver paura di raccontare i loro timori e le loro angosce e che dovranno essere in grado di ascoltare anche i più piccoli turbamenti di chi hanno vicino; dovrai accompagnarli a cercare le parole più adatte a definire sia il terrore che si annida dentro di loro sia quello che imperversa al di fuori.
Solo in questo modo gli esseri senzienti non si disuniranno e non si faranno la guerra; solo così riusciranno a scrivere quella legge giusta che li guiderà a convivere nel rispetto reciproco.
Ricorda Maja! In questa fase di passaggio dovrai prestare molta attenzione perché numerose vite potrebbe essere messe in pericolo, sia dalla mancanza di un immediato e deciso intervento, sia da un’operazione imposta con troppa fretta e superficialità. Finché non sarà condivisa un’azione comune, spetterà a te capire come lasciare più margini possibili di libertà tutelando le singole fragilità. Educa l’universo a comprendere la tossicità della rabbia ostinata di Morana e al contempo rintraccia la perfida strega, affrontala e sconfiggila una volta per tutte; con la sua fine l’incantesimo svanirà e tutto tornerà al suo posto”.
Detto ciò, le pecorelle si addormentano e Maja e Ascanio, dopo aver inutilmente provato a svegliarle per salutarle, se ne vanno via. Fuori dal borgo i due si dividono e ognuno va per la sua strada. Dietro di loro, lontano all’orizzonte, affiora il fumo di un’esplosione. I due non si accorgono di quel grigio presagio che non promette nulla di buono.

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Il sacro mistero di Calcata

Maja e Dafne sono in preda allo Sconforto, la loro ricerca non ha dato frutti e, da troppo tempo ormai, non c’è un solo segnale di svolta nel loro cammino.
Dopo essersi trascinate per due giorni lungo la selvaggia Valle del Treja scorgono, disteso su un piedistallo di tufo, l’antico e oscuro borgo di Calcata. La vista dell’abitato è per loro indifferente; accolgono l’immagine del paese allo stesso modo di quelle degli innumerevoli insetti, alberi e sentieri che l’hanno preceduta.
Nonostante gli infiniti affanni Maja e Dafne non hanno scoperto il luogo dove si nasconde Morana e, per questo motivo, ciò che all’inizio per loro era un progetto da realizzare con il susseguirsi dei giorni si è trasformato in un’illusione inafferrabile.
Le due amiche avrebbero desiderato poter pensare al domani con qualche piccola e rassicurante certezza: un luogo dove andare, una direzione da prendere; invece, nelle loro mani non stringono nulla e, per di più, la violenta pandemia che ha colpito gli universi non ne vuole sapere di allentare la morsa.
Così come il mercurio, percependo il calore, si dirige verso l’alto, allo stesso modo la Nebbia, fiutandone la disperazione, insegue Maja e Dafne e, una volta raggiunte, le avvolge e ripete:

“Fallimento, fallimento, fallimento.”

Riempiendo il vuoto delle loro anime con la Paura e l’Insicurezza.

“Che senso ha continuare a portare avanti questa assurda missione?”

Urlano le loro teste dentro i loro cuori.
Fatiche, speranze e progetti non contano più nulla.
Maja e Dafne hanno perso anche quella piccola e residuale percezione dell’esistenza che con fatica avevano conservato fino a pochi istanti prima.

“Quanto durerà tutto questo? E se anche qualcosa dovesse accadere, quel giorno noi avremo ancora le forze, la lucidità e il tempo per realizzare il nostro progetto?”.

Affollate da queste domande, ma non dalle loro risposte, Maja e Dafne entrano in paese.
Per le strette e sinuose stradine non c’è nessuno.
Il Vento, in perfetto accordo con la Nebbia, sibila un gelido suono che sembra significare:

“La fine di tutto sta per arrivare”.

In quel momento, con un gesto istintivo, le ragazze si prendono per mano: compiono quella azione come se volessero, attraverso il contatto, tentare di recuperare un po’ di calore; come se volessero provare a rivivere quella sensazione di felicità perduta chissà dove durante il viaggio; smarrita in un posto che non ha più né forma, né suoni, né colori; in un luogo che non ha più un nome.
Ma non accade niente, nessuna scintilla si accende.
In uno stato di agghiacciante catatonia raggiungono l’affaccio sull’orrido più profondo di tutta la regione. Lì, una magnetica forza di gravità sembra attirarle verso il burrone.
Maja e Dafne chiudono gli occhi e, come se fossero un unico corpo, avanzano, piano ma senza esitare, verso quel nulla privo di ritorno.
Quando mancano un paio di passi all’inevitabile caduta, una voce, improvvisa e inaspettata, le ferma.

“Maja, Dafne il vostro tè è pronto!!”

Le ragazze aprono gli occhi. Guardano il precipizio sotto di loro e con un piccolo balzo si tirano indietro. Si rendono conto che si stanno tenendo per mano e, d’istinto, stringono la presa più forte come per assicurarsi di non essere saltate giù. Poi, si voltano in direzione della salvifica voce e scorgono sul far di un uscio una dolce vecchina che, guardandole amorevolmente e con tono materno e deciso, riprende a parlare:

“Su, forza! Che aspettate? Entrate dentro casa. Non vedete come siete ridotte? Dovete recuperare spirito ed energia.
Ma che sono quelle facce?
Coraggio! Morana è più vicina di quel che sembra.
La vostra missione presto si compirà e ogni cosa andrà come deve andare”.

Maja e Dafne, incredule, si guardano e accennano un sorriso.
Poi le tre, dopo essersi tirate dietro la porta, entrano in casa.
Fuori, la Nebbia e il Vento, amareggiati per non essere riusciti a portare a termine il proprio compito, si ritirano e si dirigono, con non pochi timori, verso la dimora della perfida Morana.

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Terracina e la magica locanda del gatto bicentenario

Terracina gatto

Dopo aver visitato il Parco Naturale del Circeo Dafne sosta in una vecchia locanda nel borgo marinaro di Terracina.
Sospesa tra le nuvole e il cielo la struttura ricettiva ha un macchinoso sistema d’accesso. Si sale in una cabina della ruota panoramica del parco giochi e, una volta in cima, con un un salto (la cui esecuzione deve essere perfetta in tempistica e lunghezza) si raggiunge l’ingresso.
A quest’ultimo passaggio si deve prestare particolare attenzione; vista la considerevole altezza dal suolo l’impatto con l’asfalto potrebbe risultare letale; pertanto, precipitare di sotto sarebbe imperdonabile! 
All’interno, una hall spaziosa e lussuosa introduce un ambiente più simile al salotto di una elegante dimora nobiliare che alla reception di uno spartano B&B arredato con il mobilio standard dell’universale azienda scandinava. In fondo alla stanza, sopra a un ebenino tavolo semicircolare un grosso gatto tigrato attira con un grande sbadiglio l’attenzione di Dafne.
Il felino stiracchiandosi chiede alla ragazza di avvicinarsi.
“Cara Dafne, sono Gino il gatto bicentenario e ti do il benvenuto nella mia umile dimora. Qui, se vorrai, potrai riposarti e recuperare le energie, oppure avrai l’opportunità di vivere nuove fantasmagoriche avventure al cui termine, ti assicuro, sarai più stanca di prima!! Ah ah ah ah!!!”
“Non ci penso proprio – risponde Dafne – di avventure ne ho fin sopra i capelli. Non vedo l’ora di entrare nella mia stanza, di stendermi sul lettone e di farmi una bella dormita!!! E domani, mio caro vecchio felin Gino, scenderò tardi per la colazione!”
Il gatto con un sorriso sornione prende la chiave numero 101, la consegna a Dafne e la informa: “Giovane viaggiatrice la tua stanza è al primo piano. Ci sono due scale per raggiungerla: quella di sinistra arriva direttamente al tuo comodo giaciglio, quella di destra passa invece per il tempio di Giove.”
Dafne, al suon della parola direttamente, si dirige spedita verso quella di sinistra, ma prima di salire ha un’esitazione e, commettendo un gravissimo errore, si volta a guardare l’altra scala.
Su ogni gradino è incisa una parola. Dafne le legge: “Se salirai per questa via arriverai…”, ma il suo sguardo non riesce ad andare oltre i primi sei scalini perché l’oscurità avvolge nel mistero tutto ciò che è più in profondità. 
“Sono venuta qua per riposare, di tutto il resto non mi devo interessare!” Dice tra sé e sé la migliore amica di Maja.
Ma la curiosità per lei ha lo stesso ineluttabile effetto che ha la tela di un ragno per un insetto; una volta che l’ha irretita non può più scansarla.
Il suo successivo pensiero difatti è: “Potrei almeno finire di leggere la frase; poi, vado a dormire, promesso!” 
E mentre si dirige verso la seconda scala Gino afferra la cornetta di un telefono vintage color amaranto appeso a una colonna marmorea accanto al bancone, compone un numero e avvisa: “Tutto come previsto. La fanciulla sta per arrivare!”

“Se salirai per questa via arriverai dalla Dea Ferronia, ma devi sbrigarti. Ella corre un grande pericolo e senza il tuo aiuto non riuscirà a cavarsela; un violento incendio sta divampando in tutta la zona. È ancora possibile domarlo, ma non c’è un istante da perdere, dovrai incontrare gli spiriti del Monte Sant’Angelo e convincerli a donarti l’acqua sacra del fiume Amaseno”.
Finita di leggere quest’ultima parola Dafne si ritrova all’aperto vicino a un’imponente costruzione; tutto intorno a lei è l’inferno. Deve sbrigarsi prima che il fuoco distrugga ogni cosa.
Ma dove andare per stanare questi spiriti?
Alzando lo sguardo si accorge di essere davanti a un trivio.
Tre cartelli indicano le mete di ogni percorso.
Il primo riporta la scritta: “Stanza 101”, il secondo: “La strada più veloce – nonché l’unica  – da prendere una volta recuperata l’acqua sacra per salvare la Dea Ferronia dalle fiamme” e il terzo “La casa degli spiriti di Monte Sant’Angelo”.
Dafne si avvia con buona lena per quest’ultima via; vorrebbe sbrigarsi, ma ben presto è costretta a rallentare; il calore del fuoco le toglie il fiato, riesce a respirare solo nelle zone meno fuligginose con evidenti ripercussioni sulla sua andatura.

Passa il tempo; la strada non conduce in alcun luogo. Dafne è sfiancata e l’aria sempre più torrida e rarefatta. Dopo due ore si lascia cadere a terra urlando per la disperazione: “Spiriti dove siete? Saranno milioni di secondi che vi sto cercando!”.
“Ah ah ah” “Ma noi siamo sempre stati vicino a te!” “Aspettavamo un tuo cenno” “Iniziavamo a pensare che avessi sbagliato strada!” “Dicci, giovane Dafne, perché ci stai cercando? Cosa vorresti da noi?”.
Si alternano voci differenti provenienti da invisibili entità immateriali.
“Vi stavate, forse, burlando di me? Non è divertente!!!! Devo portare l’acqua sacra del fiume Amaseno alla Dea Ferronia, prima che questo incendio devastante distrugga anche voi sciocchi esseri incorporei!!”
“Acqua sacra?” chiede un primo spirito “Forse, intende la bevanda scura con le bollicine?” domanda una seconda voce mentre un barattolo di Cola Cola compare magicamente nell’aria. “Oppure quest’altra?” rintuzza un terzo spirito e contemporaneamente si materializza una lattina di Arancia ta ta” “No, la bella Dafne allude a questa cosa qua!” Ed è in quel momento che appare un contenitore a forma di donna velata con scritto sul tappo: ‘Acqua sacra del fiume Amaseno – indispensabile per spegnere gli incendi del monte Sant’Angelo'”.
Dafne la afferra al volo e, nonostante il fuoco, si precipita correndo a più non posso all’inizio del trivio.
Da lì si dirige verso la Dea Ferronia che incontra, avvolta dal fuoco, pochi metri più avanti dentro il tempio di Giove.
Prima la raggiunge con un lunghissimo balzo (eseguito svitando il tappo del contenitore), poi le lancia il liquido addosso.
Al contatto con l’acqua sacra tutti i focolai si spengono; non solo le fiamme che avvolgono il corpo di Ferronia, ma anche quelle che si sono diffuse sul resto del territorio.
La Dea ringrazia Dafne per il suo intervento e, di fronte a centinaia di Terracinesi accorsi al tempio per festeggiare la fine del cataclisma, elogia pubblicamente il coraggio e il talento della giovane eroina distrutta ma felice per aver risolto la situazione.
Dopo l’encomio Dafne ritorna al trivio per l’ultima volta e da lì si incammina per il sentiero che dovrebbe finalmente condurla alla sua stanza.
Una porta con incisa una scritta la divide dal suo meritato riposo: “Grazie per aver partecipato al gioco-esercitazione della locanda di Gino. Se sei arrivata fin qui vuol dire che sei riuscita a salvare la Dea e hai vinto un buono extra per la colazione”.

“Dunque, si trattava di una specie di scherzo! Nulla era reale e io ci sono cascata con tutte le scarpe!”

Demoralizzata, oltrepassa il varco e scende per una lunga scala che invece di condurla alla sua camera la porta di nuovo alla reception, dove nel frattempo hanno allestito la sala colazione.
Un orologio affisso sul muro indica le sei del mattino. 
Gino nel vedere la fanciulla le chiede sorridendo e sbadigliando: “Non avevi detto che ti saresti svegliata tardi questa mattina? Vedo invece che sei stata molto mattiniera. Sono contento perché questo vuol dire che hai ben riposato e che hai scelto assennatamente di non partecipare al nostro stressante gioco!”

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New York

È un rovente pomeriggio d’agosto di una torrida estate che ha già visto bruciare ettari ed ettari di bosco in tutto il Pianeta quando Maja, in cerca di un po’ di refrigerio, decide di fare un bagno al mare.

La giovane fanciulla intorpidita dalla piacevole frescura delle acque si addormenta mentre fa la morta a galla; si risveglia soltanto dopo tre giorni e, quando apre gli occhi, si accorge di essere finita nell’oceano! “Oh, mamma mia! Come farò adesso a tornare indietro?” Si chiede impaurita. Aguzza la vista per vedere se nei paraggi c’è qualcuno che possa aiutarla, ma attorno a lei non sembra esserci anima viva. 
Inoltre, deve trovarsi parecchio a nord perché sente veramente freddo! Sa che non le rimane molto tempo, da un momento all’altro potrebbe cadere in un profondo stato di ipotermia. Si agita, si muove per provare a scaldarsi, ma alla fine, stremata, smette di lottare e si rassegna a quello che sembra essere il suo ineluttabile, tragico e imminente destino. Per fortuna, proprio nel momento in cui si sta per lasciare andare, all’orizzonte appare un puntino. Si muove, sospinto dal vento, a gran velocità; sta venendo nella sua direzione! Dopo pochi istanti ciò che l’immaginazione di Maja aveva già disegnato diventa realtà. Il puntino prende la forma di una piccola imbarcazione. Il natante ha una grande scritta sulla vela: “Malizia”.
L’equipaggio è composto da due giovani uomini e da una ragazzina dallo sguardo vivo.
Quando avvistano Maja, nel pieno rispetto della legge del mare, non esitano un solo istante a salvarla. La recuperano, la fanno salire a bordo e la ristorano. Una coperta, dell’acqua e un pasto caldo e anche questa volta il pericolo è scampato. 
Maja conosce così Greta, Pierre e Boris; sono delle persone fantastiche! Parlando con loro viene a sapere che non sono in vacanza, ma stanno affrontando un’importante missione da cui dipenderanno le sorti del mondo. Devono avvisare gli Americani che il Pianeta sta morendo e se non inizieranno subito a occuparsi dell’ambiente non ci sarà salvezza per nessuno.
Maja, ammirata per lo spirito di iniziativa e per il coraggio di quelle persone, decide di entrare a far parte della ciurma e di collaborare con loro alla realizzazione del piano.
Dopo due settimane di navigazione giungono a New York, la città dei grattacieli. Un luogo incantato e bellissimo, pieno di colori, di persone e di cose strane e bizzarre. Ci sono tombini che fumano, scoiattoli che sembrano topi e topi che sembrano scoiattoli, esseri umani che corrono ovunque, camion giganti che raccolgono milioni e milioni di buste dell’immondizia, taxi gialli, insegne luminose, artisti di tutti i tipi e inquietanti profeti. E’ un mondo diverso da quello conosciuto da Maja.
Un mondo affascinante e seducente.
Un mondo in cui Maja affronterà nuove mirabolanti avventure.

– Central Park – Statua della Libertà –

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Central Park – New York

“Che caldo che fa! E che stanchezza!” Pensa Maja. 

Decide così di fermarsi a riposare sotto un Ginkgo Biloba dal giallo fogliame. Chiude gli occhi e dorme beata per una mezz’ora. E, probabilmente, si sarebbe riposata per molto più tempo se non fosse stata svegliata di soprassalto da un buffo scoiattolo grigio. L’animale nel passarle accanto velocemente le urla: “È tardi Maja! Corri! Non c’è tempo né per dormire, né per le spiegazioni” E tira dritto. Maja ancora assonnata si alza in piedi con difficoltà e, incuriosita da quello stravagante animale parlante, appena riesce a trovare un equilibrio, comincia a seguirlo. Riesce a stargli dietro per un po’, ma quando lo squirrel (così chiamano da quelle parti il piccolo roditore) entra all’interno di un tetro tunnel, la fanciulla lo perde di vista.
Maja decide comunque di addentrarsi nella buia galleria: avanza piano piano, mette i piedi in una grossa pozzanghera e… cade dentro un orrido buio. All’inizio precipita velocemente, ma, per fortuna, dopo qualche istante la sua corsa rallenta e lei  come per magia riesce a planare verso il fondo. Impiega circa un’ora prima di atterrare su un grandissimo prato. Il prato, in realtà, è un campo da baseball dove è in corso una combattutissima partita. A Maja, che si ritrova proprio sul posto del battitore, viene data una mazza da un giocatore, mentre dall’altra parte un lanciatore è pronto a tirarle la palla! 
Parte velocissima la piccola sfera  e nello stesso istante in cui Maja sta per colpirla riappare lo scoiattolo che riprende Maja: “Su, gioanotta ti pare forse questo il momento di giocare! Il tempo stringe, seguimi, senza indugiare”. Maja, nonostante il disturbo, colpisce la palla e la lancia sul tetto di un grattacielo che confina con il campo, poi posa la mazza e si muove in direzione dello squirrel, già trasformatosi in un piccolo punto vicino all’orizzonte.
Durante il suo inseguimento Maja si perde in un bosco. Incontra un giovane e un vecchio che la sfidano a scacchi. “Se vinci, ti indichiamo la strada!”.
La nostra amica di mille avventure non ha scelta, ma ha solo un problema nell’affrontare quella sfida che potrebbe darle una via d’uscita a una situazione che sembra farsi sempre più complicata: non sa giocare a scacchi!
Si siede, sta per fare la prima mossa. Afferra il re, ma quello, mentre sta per spostarlo, le urla: “Non puoi muovermi! Non posso mica saltare le caselle, io! Ti sembro forse un cavallo?” Maja imbarazzata si scusa con il sovrano di legno e si paralizza per paura. In suo aiuto interviene la torre che vedendola in difficoltà le dice: “Ti aiuterò io, ma tu non farmi catturare. Gioco queste partite da quarant’anni e conosco ogni singola strategia! Segui i miei consigli e vinceremo. Comincia con il secondo pedone a partire dalla tua destra e muovilo di due caselle avanti, poi…”

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Primavalle, la borgata del sapone

Dopo la drammatica avventura vissuta al Parco del Santa Maria della Pietà, Maja e Dafne passeggiano e si rilassano un poco per le strade e i giardini di una borgata romana a loro ancora sconosciuta; una borgata costruita su una montagna fatta di sapone. Ogni cosa in quel posto è incredibilmente profumata, anche i rifiuti! 

In questa terra dal profumo di marsiglia le due amiche sembrano finalmente aver trovato un po’ di pace e tranquillità! Ma mentre chiacchierano del più e del meno (sfidandosi a risolvere complesse operazioni di aritmetica) sedute su un’altalena, una volpe va loro incontro e, dopo essersi presentata (si chiama Pizzutella), inizia a raccontargli una storia triste e malinconica: “Una volta, tanto tempo fa, in questo luogo magico c’era una specie di astronave spaziale chiamata Galaxy. Chiunque entrasse in quel mezzo interplanetario si trovava immediatamente a viaggiare oltre i confini del suono. O almeno, questo era quello che credeva stando là dentro. In realtà nessuno ha mai capito se in quella specie di macchina del tempo e dello spazio si viaggiasse davvero o si sognasse. Ci si rimaneva sempre, minuto più minuto meno, per un paio d’ore e quando poi si usciva, facendo ritorno al mondo reale, ci si sentiva vivi; a volte malinconici altre felici, ma sempre vivi.
Purtroppo, un giorno più triste e buio di altri, un mostro gigante attraversò il quartiere e distrusse, calpestandola con il suo enorme piede destro, quell’astronave che tanta gente aveva fatto sognare”.
Qui, piangendo, la volpe interruppe il suo racconto; chiese a Maja e Dafne se avessero tempo e voglia di aiutarla a ricostruire l’astronave.
Le due amiche, dopo uno sguardo di intesa, decisero di fermarsi e diedero una mano alla volpe e agli abitanti di Primavalle per rimettere in piedi il vecchio e prodigioso Galaxy.

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Genova, la città vecchia

Il sole è già alto nel cielo quando Maja e Dafne arrivano al porto di Genova. Nei pressi del Bigo si imbattono in un personaggio dallo stravagante abbigliamento in cui spiccano dei vistosi guanti bianchi, una giacca verde pisello e un’enorme bombetta. Il tizio dallo smaccato accento tedesco (tanto forzato quanto poco credibile) si presenta: “Boncioorno signorine, yo so el Professor Kranz, grante illusonista. Benvenute nella sittà te la lanterna!” e si toglie dalla testa lo smisurato copricapo. 

Poi, estrae dalla tasca della giacca una bacchetta magica con la punta a forma di testa di grifone, la fa roteare e pronuncia una incomprensibile formula che conclude annunciando quelli che saranno i suoi prodigiosi effetti: “Ganz i de ganze kranz, quella strata sopralevata spatrirà!”.
Ma, nonostante l’atteggiamento superbo e sfrontato e l’elaborato movimento della verghetta incantata, qualcosa va storto.

Preso dall’impeto, il Professore scaglia con violenza la bacchetta contro il tendine più sensibile del suo ginocchio destro. Ne conseguono tre eventi di differente intensità drammatica: la rottura del prezioso strumento magico, la propagazione alle vicine province dell’onda sonora prodotta dal conseguente urlo dell’uomo (grido di intensità sconosciuta ai mortali), e la sparizione al posto della superba e poco armoniosa opera ingegneristica degli anni Sessanta (che non si sposta di un solo millimetro) proprio del bizzarro Professor Kranz, sedicente mago, ma, in vero, improbabile apprendista.
Seppur oramai invisibile ed etereo lo stregone “Tedesco di Germania” riesce ancora a pronunciare delle parole: “Antate a via tel Campo e prendete la graziosa fanciulla dalla pelle color tell’ebano per mano”. 
Maja e Dafne, disorientate dall’inaspettato e poco ordinario incontro, decidono, dopo essersi scambiate un veloce cenno d’intesa, di seguire le indicazioni del Professore. Chiedono informazioni a un tanto efficiente quanto affabile spazzino del luogo che mostra loro la direzione da seguire per raggiungere Via del Campo, nel cuore vivo della città antica.
Giunte a destinazione la loro attenzione viene subito attirata da un giovane pittore seduto su una vecchia e logora sedia di paglia e di legno; l’uomo, magro e ben vestito, ha una una lunga e irregolare frangetta che copre parte della metà destra del suo viso. Sta colorando con dei pastelli un paesaggio invernale malinconico, disperato e sublime. C’è la nebbia e ci sono i prati bianchi, c’è un campanile che segna il confine tra la terra e il cielo, c’è il biancospino e c’è la neve che cade sui campisanti.
Poco distante dal talentoso artista, immobile come una statua, si trova Jamilah, una ragazzina nigeriana dalla pelle scurissima, vestita di pezze e di stracci sdruciti. Sembra aspettare qualcuno. È bella, affascinante leggiadra.
È certamente lei la ragazza che stanno cercando. Le si avvicinano, si presentano e le chiedono, non senza imbarazzo, di poterla prendere per mano. Ma nell’ascoltare quella curiosa richiesta e lei a sorprenderle anticipandole e prendendo l’iniziativa; afferra le mani delle due avventuriere e le trascina con sé in una folle e divertente corsa per i carruggi, le piazze e i monumenti della sua città. 
Durante il tragitto Jamilah racconta a Maja e Dafne la storia dell’antica Repubblica Marinara, una storia di prestigio, di fiorente commercio con i banchieri tedeschi, ma anche di povertà e di umiliazione. “Povertà e umiliazione presenti ancora oggi – aggiunge la giovane africana – in quelle strette vie dove non batte mai il sole e dove troppe donne vengono senza colpa condannate a un triste destino di sfruttamento e violenza”. 

Donne arabe, nordafricane, italiane, costrette a trascorrere la maggior parte del tempo in piedi all’aperto.
Maja e Dafne decidono di incontrarle e si offrono di aiutarle; vorrebbero liberarle da quella condizione disperata, ma Jamilah, ringraziandole per la solidarietà, le dissuade dalla assurda idea di intentare quella che sarebbe: “una tanto eroica quanto inutile impresa”.

“Neanche con il vostro aiuto, purtroppo, saremmo in grado di contrastare i potenti e crudeli aguzzini che ci comandano come se fossimo marionette inanimate. E una ribellione mal ponderata finirebbe soltanto per peggiorare la nostra già misera condizione. Mi dispiace, ma al momento non possiamo far niente”.
Maja e Dafne sconvolte e svuotate, abbracciano le donne una ad una per confortarle. E mentre le stringono forte scelgono di non trattenere le lacrime, che inevitabilmente cadono dai loro occhi, lasciando così trasparire quella sensazione di profonda inadeguatezza che stanno provando nel sapersi impotenti di fronte a un male tanto grande.
Ma non c’è tempo per fermarsi oltre. Il giro deve proseguire velocemente per evitare che qualcuno si accorga dell’assenza di Jamilah. Le tre giungono all’ingresso del lussuoso Palazzo Rosso. Quando varcano la soglia del regale edificio le vesti di Jamilah si trasformano: le pezze diventano un sontuoso abito di seta e le irregolari scuciture pregiati ricami.
Le giovani donne superano numerose scale,  grandi stanze, interminabili corridoi; montano, infine, dentro un ascensore con il quale salgono, in meno di un secondo, 570 piani.
Al termine della corsa Maja, Dafne e Jamilah sono sul tetto più alto della città.Tutto intorno a loro Genova, abbarbicata sulla collina di Carigliano e tinta dal caldo sole del tramonto, si mostra superba in una perfetta veduta d’insieme composta dalle diverse architetture che nel corso dei secoli si sono mescolate, alternate e sovrapposte.

Gli uccelli, di vedetta sulle vicine e irregolari tegole, dominano le case, le barche e il mare, mentre un gabbiano cullato dalla dolce brezza della sera si addormenta e fa un sogno: Jamilah e le sue compagne stanno danzando e cantando lungo i carruggi in festa. Sono finalmente libere e felici; non hanno più paura. Gli sgherri che per anni le avevano ridotte in un’anacronistica schiavitù sono stati definitivamente cacciati via dalla città.

Posted in: I luoghi visitati da Maja, Italia, Paesi, borghi e città, Puglia

Santa Maria di Leuca

Da Lecce, Otranto e Gallipoli tre strade scendono a Sud. Da queste si sviluppa una fitta rete di altri percorsi. Traiettorie all’interno di quell’ideale triangolo che altro non è se non la schematizzazione geometrica del Salento. Il punto d’incontro delle vie è la nobile e solitaria Leuca che, quieta e serena, ammira lo Ionio dalle finestre delle sue eclettiche ville. Mastro Tonio ha trascorso qui un tempo indefinito cercando nell’orizzonte il ricordo di Maja.

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Otranto

Un’antica leggenda narra che un tempo a Otranto vivevano pacificamente insieme più di mille popoli; i greci, i messianici, i romani, gli aragonesi, i normanni, i bizantini erano quelli più noti.

Un giorno un violentissimo nubifragio si scagliò contro la città. Con impeto portentoso allagò ogni cosa.
Fu tanta e tale la veemenza che difficilmente si sarebbe potuto salvare qualcuno se non fosse intervenuto il Grande Mago d’Oriente.
Lo stregone fece una magia e creò un enorme ponte arcobaleno che permise a ogni essere vivente di scampare al pericolo. Sul ponte c’era spazio per tutti: uomini, donne, anziani, bambini, animali, insetti, piante.
Ci rimasero sopra per novantanove interminabili ore al termine delle quali le acque liberarono la terra; poi ognuno fece ritorno, sano e salvo, alle proprie abitudini.

Il grande mago d’Oriente, acclamato come un eroe e insignito delle più alte onorificenze, poté per il resto della sua vita visitare gratuitamente i musei e i monumenti di Otranto e dintorni.

Diversi secoli dopo, purtroppo, quando il grande mago d’Oriente era oramai da tempo passato a una più noiosa vita, accadeva che, con il mare in burrasca, molti migranti provenienti da terre lontane annegassero a poche miglia da quella stessa costa in cui era accaduto il miracolo dell’arcobaleno.
Una costa che era stata sempre presente nei sogni dei migranti sin dall’inizio del loro drammatico viaggio (vedi la strage), ma questa è un’altra storia.

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