Maja e Dafne si ritrovano, ancora una volta, a camminare per i vicoli della splendida Napoli. Vie, palazzi, monumenti si presentano come tanti pezzi irregolari di un gigantesco mosaico. Un’armonia sporca fatta di stracci, di antenne e di lamiere di amianto corrose dalla ruggine. Dalla lontana Bisanzio giunge ai cuori delle due ragazze l’eco di un’esplosione insieme al dolore delle vittime.
Le guerre, foriere di devastazione e abbrutimento, continuano a imperversare nei Paesi orientali; i profughi navigano il turbolento oceano in cerca di una terra in cui chiedere asilo, ma vengono respinti dai cannoni delle navi da difesa degli stati frontalieri.
Ogni giorni l’aria si fa più pesante.
La bellezza della città partenopea non basta più a restituire il sorriso a Maja e Dafne; È come se fossero dentro un vortice irrefrenabile da cui sia oramai impossibile uscire. Avvolte da questa sensazione, dopo aver camminato a lungo per il corso, le due giovani si siedono ai piedi della Certosa di San Martino; Maja posa la sua testa sulla spalla destra di Dafne e insieme contemplano il panorama; intanto, la voce dei venti trasporta alle loro orecchie un affollato e confuso brusio composto dalle grida provenienti dal vicino stadio e dal rumore disperato della sofferenza dell’umanità.
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Salita del Petraio
Fermati! Non andare di fretta. Se osservi bene davanti ai tuoi occhi, tra i palazzi di Corso Vittorio Emanuele, ti accorgerai di qualcosa di strano.
Stai guardando? La vedi quella piccola fessura nascosta da vecchi e sporchi cartoni?
Forza su. Muoviti! Non avere paura. Sposta quell’accumulo di immondizia e… lo vedi?
Sì è proprio quello che pensi.
L’accesso a un passaggio segreto!
Proprio da lì parte, infatti, una delle più strabilianti e misteriose strade di Napoli, il Petraio.
Una lunga scalinata che dai Quartieri ti porta in un’altra città: il Vomero.
Ma adesso sali ed entra in un altro dei magici mondi di Napoli.
Corso Vittorio Emanuele
Maja e Dafne continuano a girovagare per Napoli.
Possono scegliere tra due strade:
1) Salita Petraio
2) Via Caracciolo
Il chiostro maiolicato di Santa Chiara

Maja e Dafne, nel centro storico del capoluogo partenopeo, si confondono tra la folla che si ammassa lungo il decumano inferiore: Spaccanapoli. Riescono a stento ad accennare un passo per muoversi di qualche centimetro.
Fa molto caldo per essere una giornata invernale e Maja e Dafne, vestite di abiti eccessivamente pesanti, iniziano a sudare. Avrebbero bisogno di riposarsi in un posto più fresco, ma hanno un appuntamento con Sami a Piazza Garibaldi e devono sbrigarsi se non vogliono arrivare in ritardo.
All’incrocio di Via di Santa Chiara una monachella, vestita di nero, richiama la loro attenzione.
“Ragazze! Ragazze! Sì dico a voi due. Aiutatemi! Briciola e scappata. Vi prego dobbiamo cercarla. Ho paura che le potrebbe accadere qualcosa di terribile”.
Maja e Dafne rinunciano alla puntualità e decidono di aiutare la suora. Sami aspetterà!
Ancora non sanno chi sia Briciola, ma chiunque sia devono soccorrerlo. Non possono tirarsi indietro. Ne va del loro buono nome di eroine delle favole.
Non tutti i mali, poi, vengono per nuocere. Uscire dalla calca è un vero sollievo.
La suora corre veloce e Maja e Dafne fanno molta fatica a starle dietro. Attraversano un cortile, un enorme portone e finiscono nel chiostro più meraviglioso che le loro pupille abbiano mai visto. A Dafne pare di essere in uno di quegli incantevoli giardini del sud dell’Andalusia. Panchine, muretti. Ogni cosa è adornata dalle splendide maioliche dei fratelli Massa.
La suora, che assomiglia a Mary Poppins, è lì accanto a loro. Le prende per mano e gli chiede di chiudere gli occhi e saltare. Tutto accade in un secondo e Maja e Dafne si ritrovano dentro il dipinto di una di quelle maioliche che adornavano il chiostro dove erano solo pochi istanti prima. Il paesaggio è fantastico. Fiumi, campi di grano, piccoli ponti, antichi mulini. Le due amiche, proiettate in questa nuova avventura, sono entusiaste, ma alcuni colpi di fucile esplosi poco distante, ricordano loro che il confine tra l’incubo e il sogno è sempre sottile. La monaca lascia la presa. Poi dice:
“Maja, Dafne, dobbiamo sbrigarci. Dobbiamo trovare Briciola prima dei cacciatori”.
“Signora monaca – le risponde Maja in tono cortese – siamo ben felici di aiutarla, ma ci deve prima dire chi è Briciola”.
“Ma come!!! Davvero non lo sapete? E’ la gatta più importante di Napoli. Dal pelo fulvo e un po’ sovrappeso, dai lunghi baffi e dalle larghe striature è quasi una leggenda in questa città”.
“Ok! La troveremo! Promesso!”
Le tre si dividono. La monaca va verso est e Maja e Dafne verso Sud.
Durante la loro ricerca Maja e Dafne incontrano contadine, artigiani, mugnai, viticultori. Ognuno dà loro indicazioni diverse sul luogo dove Briciola potrebbe essere andata a finire.
Chi dice che è presso un ruscello, chi nella piazza principale di un borgo vicino, chi ancora all’interno di un’antica fattoria.
Le due amiche sono disperate.
Sono sul punto di rinunciare quando una piccola volpe, dopo esserglisi avvicinata, chiede loro di seguirla.
Le conduce all’interno di un meraviglioso convento pieno di cripte, di stanze segrete e di sacri oratori. Camminano per diverse ore e, infine, giungono nella stanza delle piscine.
Lì ritrovano la monachella. Non è sola. E’ insieme a Briciola e a molti altri gatti.
La suora, vedendole, sorride; poi gli dice con fare affettuoso:
“Mie care se non fosse stato per voi non sarei mai giunta fin qua. In realtà Briciola non era mai fuggita dalla sua casa. Ero io che mi ero perduta. E senza il vostro aiuto non ce l’avrei mai fatta a ritrovare la mia casa!
Grazie davvero di cuore, amiche mie!
Ma voi, se non sbaglio, avete un appuntamento. Forza chiudete gli occhi. E’ tempo che torniate da dove siete venute. Sono certa che ci incontreremo ancora”.
Maja e Dafne, seguendo le indicazioni della monaca, chiudono gli occhi per un paio di istanti. Una brezza leggera le sfiora. Poi, meravigliate, si accorgono di essere tornate nel mondo reale. Sono già a Piazza Garibaldi.
Sami non è ancora arrivato. Incredibilmente sono in anticipo rispetto al loro appuntamento.












Castel Sant’Elmo
Appena scende dalla funicolare centrale di Napoli Maja si ritrova nel cuore del Vomero. È sperduta e non sa dove andare; mentre si guarda intorno le si avvicina un anziano signore napoletano.
“Corri di là – le bisbiglia guardandola negli occhi – Ma sbrigati o arriverai tardi. L’ora è ormai giunta!”
Maja si volta per un attimo nella direzione indicata e quando rivolge di nuovo lo sguardo verso il vecchietto, l’uomo è svanito nel nulla!
Davanti a lei c’è solo la strada deserta.
“Beh, poco importa – pensa Maja – se mi ha detto di correre un motivo ci sarà”.
E senza pensarci due volte si affretta decisa per una stradina in salita. Dopo qualche metro giunge di fronte a un grande, imponente e prestigioso castello e rimane affascinata dall’artefatta geometria di quell’irregolare ammasso di tufo giallo. Qualcuno la sta chiamando. È un omino napoletano che urlando cerca di avvisarla dell’imminente chiusura: “Cosa aspetti, corri, manca poco. Non vorrai mica rimanere fuori. Sopra tutti ti stanno aspettando da tempo.”
Maja prende un biglietto e si dirige verso l’ingresso. C’è una porta, socchiusa. Maja la apre. Pochi passi ed entra in un ascensore che, pronto a iniziare il suo viaggio, sembra non attendere altri che lei. Comincia l’ascesa: 1, 2, 3, 10, 100, 1000 piani. In un frammento di secondo sale un’infinità di metri.
Il montacarichi si blocca solo al 1985° livello. Roba da pazzi! Si aprono le porte e Maja è in un luogo antico e moderno, sospeso nell’aria. Sotto di lei, Napoli, il Vesuvio, il Gran Pavese e la Certosa di San Martino. Ma non è finita qua.
Passeggiando sul lastrico solare incontra pittori affermati, maestri scultori e stravaganti artisti. Ne riconosce qualcuno: l’anarchico pittore Enrico Baj, lo scultore partigiano Umberto Mastroianni (zio di un famoso attore del cinema italiano), il Siciliano Emilio Greco e il transavanguardista Mimmo Paladino.
C’è chi dipinge, c’è chi lavora di scalpello, c’è chi gioca con macchine fotografiche e cineprese, qualcuno ozia su di una sedia di canapa, qualche altro contempla lo splendido paesaggio da un torr(i)one.
Tutti la salutano entusiasti e le raccontano uno spicchio della storia di Napoli; a detta loro si tratta dello “spicchio” di storia più “saporito” da quando esiste l’essere umano. Narrano di un’epoca lontana in cui Napoli era vessata da iniqui tributi, da esose tasse che impedivano alla povera gente perfino di respirare. A volte i più umili tra gli umili si ribellavano anche se spesso venivano con violenza repressi. Una delle rivolte più importanti fu capeggiata da un pescatore/pescivendolo di soprannome Masaniello. Fu una grande rivoluzione! Nonostante Masaniello e i suoi compagni formassero una specie di armata Brancaleone riuscirono nella loro impresa e, anche se solo per pochi giorni, riconsegnarono al popolo la libertà.
Non tutte le storie, miei cari piccoli lettori, finiscono però con il lieto fine e fu così che questi eroi a un certo punto si sentirono stanchi e smisero di combattere. Erano garzoni, pescatori, contadini e non erano proprio abituati a stare con l’archibugio in mano. Esausti, si misero a dormire. E mentre sognavano la rivoluzione appena incominciata, tutto, in un batter di ciglia, tornò a essere come era sempre stato. E ciò che era reale divenne utopia!
Finito di ascoltare questo racconto Maja si avvicina a un pittore dalla barba lunghissima. Si tratta del futurista Emilio Notte. L’artista le presta la sua tavolozza e la invita a dipingere (prendendo spunto dalla storia di Masaniello) la rivoluzione che un giorno avverrà. Che emozione! Immerge con trepidazione i pennelli nei colori, poi li fa roteare sulla tavolozza e crea un altro capolavoro.
Ma al rintocco delle campane della Certosa di San Martino scompaiono tutti gli artisti e il breve eco di una voce lontana fa seguire il silenzio a queste parole: “Fuggi o resterai imprigionata per l’eternità”.
Maja correndo veloce, con il cuore che le batte a più non posso, raggiunge una scalinata. La discende; sotto i suoi piedi si susseguono migliaia di rampe, tutte uguali. Niente sembra cambiare. Vorrebbe smettere. Ma a cosa servirebbe fermarsi? Forse solo a morire. Meglio, allora, continuare a correre, magari per l’eternità, ma almeno con la speranza di trovare un pertugio in cui intrufolarsi per uscire da questo orrido incubo.
Per fortuna quando scocca l’ultimo rintocco della campana Maja raggiunge l’uscita.
C’è un portone ed è aperto!
Maja lo varca senza esitazione e questo, un istante dopo, si chiude dietro di lei.
Le rimane il ricordo
di un sogno balordo
con bizzarri pittori,
e futuristi scultori,
con un tal Masaniello
in un giallo Castello
che le par di ricordar
si chiamasse Sant’Elmo.*




(Un angolo de)iQuartieri Spagnoli
C’è un punto nell’universo in cui si incontrano due strade.
Bell’affare, penserete voi, di luoghi così ce ne sono un’infinità!
Ma, vi assicuriamo (in caso in cui dovessimo essere smentiti sarete rimborsati) che questo luogo è unico e speciale. Dove si trova? Nella splendida Napoli e, precisamente, nei Quartieri Spagnoli.
Andiamo a visitarlo e, come spesso accade quando ci troviamo nella città partenopea ci affidiamo alla guida del poeta Pasquale con il quale ci addentriamo per le vie dei “Quartieri”. Incontriamo una comoda sedia (su cui ci riposiamo a turno un po’ tutti), cartelli stradali che indicano contemporaneamente più di una direzione, divieti di sosta in cima a delle scale.
Ogni più piccola cosa e ogni suo dettaglio si presentano con incantevoli colori e con forme attraenti; sono, al di là di ogni ragionevole dubbio, degni di ammirazione.
Persi a sorprenderci e a meravigliarci, ora per un manifesto, ora per una bicicletta, giungiamo all’ingresso di un bar. Pasquale ci invita ad entrare, promettendoci che solo qui si può sorseggiare il vero caffè napoletano e che, senza dubbio alcuno, qualcosa di magico accadrà.
Varchiamo la soglia e… davanti a noi appaiono persone di un’epoca remota.
Il tutto sembrerebbe inverosimile, ma un calendario, affisso sul muro dietro al bancone, illustra il mese di aprile del 1908.
Ci emozioniamo, stiamo per vivere una nuova avventura.
Pasquale, per nulla sorpreso, continua a parlarci e ci dice che il bar è il luogo in cui popolo e aristocrazia si mescolano; è difatti per questo motivo, ci spiega, che ci sono due entrate.
Una porta si rivolge alla strada che sale verso la parte ricca della città, mentre l’altra a quella che scende verso quella povera.
A sottolineare le sue parole l’ingresso di braccianti, nulla tenenti, accattoni, ladruncoli da un passaggio e quello di avvocati, medici, professori e nobili dall’altro.
In pochi istanti il bar si trasforma in un luogo chimerico dove il notaio commenta con il ladruncolo l’ultimo fatto di sangue avvenuto nella vicina Capodimonte, il bracciante chiede consiglio al medico per un problema della sua fedele compagna vacca e il professore prega l’accattone di recitargli la sua ultima poesia.
A fare da cornice a questa sinfonia la fragranza del caffé.
Il barista è un vero e proprio direttore d’orchestra che rende il brusio del vociare armonico e naturale.
Lo vediamo destreggiarsi, aggiungendo un po’ di zucchero a questa o a quella tazzina e proponendo un po’ a tutti le seducenti paste preparate dal vicino fornaio.
Seduti a un tavolino, un avvocato e un operaio sfogliano le pagine del Mattino; prima l’avvocato aggiorna l’operaio sull’evoluzione di una questione legale, poi l’operaio spiega all’avvocato come ha risolto il guasto del lavandino del suo bagno.
Il tempo trascorre allegramente e noi ci gustiamo la scena, almeno finché un canarino di pezza decide che è giunto il momento di uscire fuori dal proprio orologio a cucù, ricordando che sono le 3.
Sconsolati, un po’ alla volta, tutti escono dal bar e ritornano alle proprie attività seguiti dall’odore di caffè,una nuvola di malinconia che sfuma nella città.
Il barista saluta tutti e conclude la sua esibizione rivolgendoci lo sguardo e strizzandoci un complice occhiolino.
Usciamo anche noi, ma solo dopo averlo ringraziato; in realtà ci verrebbe da applaudirlo, ma alla fine ci limitiamo a salutarlo.
Pasquale ci suggerisce di passare per la porta da cui non siamo entrati. Fuori ci aspettano altre sedie, altri bizzarri cartelli stradali, altre biciclette abbandonate per la via.
Noi sorridiamo, ma non possiamo non provare nostalgia verso un luogo in cui si narra l’ozio senza soluzione di continuità.




Funicolare centrale
Parliamo di Pino l’Albino, anzi raccontiamo del fantasmagorico viaggio che Pino ripete ogni giorno all’infinito. Di cosa stiamo blaterando?
Del lunghissimo e interminabile percorso che senza sosta affronta la funicolare centrale di Napoli in quattro minuti e 20 secondi per salire da via Toledo fino a Piazza Fuga, nel cuore del Vomero. Ma riportiamo con ordine i fatti. Non appena apprendiamo la notizia dell’esistenza di un mitologico personaggio che vive nella funicolare di Napoli, senza indugio ci precipitiamo in città e, una volta giunti, ci dirigiamo all’ingresso della funicolare centrale. Entriamo in un vagone, ovviamente gremito di gente, e proprio nell’istante stesso in cui si chiudono le porte, la funicolare inizia ad accennare il suo primo movimento. Tra la folla si dimena un omino di mezza età bianco vestito; se non lo avessimo proprio davanti ai nostri occhi ci sembrerebbe più un bambino d’origini svedesi che un signore napoletano di una cinquantacinquina d’anni. Il signore, dopo aver conquistato il centro del vagone, inizia a parlare: “Signori e signore, anziani e bambini, cani e gattini mi presento sono Pino il mago albino, non rubo, non frodo e non sono violento e di questo vi assicuro ne sono contento, ma orsù, basta con le presentazioni non sono qui di certo per farvi orazioni; Abbia, dunque inizio la magia, abbia inizio prima che il tempo se la porti via”. Di fronte a questa bizzarra presentazione tutti si zittiscono; perfino un agitatissimo cane bassotto smette di abbaiare e, un bambino e una mosca che fino a quel momento erano in una irrisolvibile lotta tra loro, si fermano giusto punto. In un mistico silenzio d’un tratto va via l’illuminazione. Pino l’Albino, senza scomporsi, estrae dalla tasca una piccola scatola delle dimensioni di un soldino e la apre. Come d’incanto ne escono fuori centinaia di torce che Pino distribuisce a ogni passeggero della funicolare. A questo punto tutti le accendono e riempiono nuovamente di luce lo spazio circostante. Ma le sorprese non sono finite! Nel mezzo del vagone centrale, proprio mentre la funicolare si trova a metà del suo percorso, è comparsa una bellissima tavola addobbata da una tovaglia di plastica sulla quale è posato un mazzo di carte (rigorosamente napoletane). Ad ogni lato del tavolo c’è una sedia. Incredibile ma vero! Sta per iniziare un torneo di briscola. Ecco che prendono posto gli sfidanti! Partendo da sinistra verso destra vediamo Pluto il cane astuto, Geggetta la terribile vecchietta, e Pirenaico l’infallibile matematico. Ma cosa succede? C’è ancora un posto vuoto! Nessuno ha il coraggio di sfidare questi famosissimi campioni! Prendo l’iniziativa e mi siedo. Decido di prendere per le corna la situazione! In pochi istanti vinco la prima partita grazie ad un’ultima mano fortunata in cui mi ritrovo contemporaneamente asso, tre e re di briscola. Sfida dopo sfida si alternano i rivali che devo affrontare: Baro il barese avaro, Strozzino il cinese di Pechino, Pasquale il poeta di Natale, e molti altri ancora. Nonostante la loro bravura, i loro sporchi trucchi e la loro sfacciata fortuna riesco, ogni volta, a vincere di un soffio. Nel giro di un minuto sono diventato il campione di briscola più famoso di tutta la funicolare. Pino l’Albino mi strige la mano e mi regala il mazzo di carte. Poi in meno di un secondo ripone tavolo, tovaglia e lucine al proprio posto. Quando chiude la scatola si ferma la funicolare. Siamo arrivati al Vomero, nella Parioli partenopea. La gente esce frettolosamente e scompare tra le strade affollate. Nella funicolare rimane solamente Pino l’Albino, in attesa di un nuovo viaggio, già pronto per una nuova magia.