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Dolceacqua

Castello dolceacqua

Come forse già abbiamo scritto, quando Colombo – il nostro amico piccione – era giovane girava i mondi perché doveva aggiornare le sue carte geografiche. E in uno dei suoi innumerevoli e avventurosi viaggi si ritrovò in un posto magico al confine tra la realtà e la fantasia.  Quel luogo era l’antico borgo di Dolceacqua, nasceva, al di là di un caratteristico ponte, sulla sponda destra del torrente Nervia e alla vista appariva confuso, sfumato e privo di sostanza. Persino l’imponenza dei resti di quello che una volta era stato un glorioso maniero (le cui origini risalgono ai tempi dei Conti di Albintimilium), dalla forma squadrata e dalla invidiabile posizione sovrastante la città, era come sbeffeggiata dalla consistenza effimera cui appariva allo sguardo dei suoi visitatori e anche a quello, non proprio felino, del pennuto cartografo. Non ci crederete, ma ogni dettaglio di quella insolita costruzione medievale era come dipinto.
E come il castello ogni cosa visibile – il fiume, il ponte, le case – sembrava comporre l’immagine di un quadro impressionista.
Degli altri testimoni di questo spettacolo non ne sappiamo molto, ma almeno per quanto riguarda quel simpaticone del piccione possiamo assicurarvi che non aveva né bevuto alcolici, né assunto sostanze stupefacenti e psicotrope.
Pertanto, visto che la sua sobrietà per nulla si conciliava con l’assurdità della situazione, il pennuto volle vederci chiaro; pretendeva delle spiegazioni e, dato che per strada non c’era anima viva, prese coraggio e, con la speranza di incontrare qualcuno, entrò nell’unico edificio il cui l’uscio era rimasto socchiuso. Figuratevi il suo stupore quando si rese conto di non essere entrato in un semplice locale, ma in un cinema popolato da cyborg, androidi e mutanti.

“Perdindirindina!” Esclamò il volatile sempre più esterrefatto. Poi, dopo essersi ripreso dalla maraviglia, si avvicinò, con fare discreto, all’unica persona che gli appariva rispettabile tra quelle presenti in sala: un anziano signore dai radi capelli bianchi, dalla foltissima barba e dallo sguardo penetrante che, appena si accorse di Colombo, gli sorrise e si presentò:
“Bonjour, je suis Claude Monet que je peux faire pour servir?”.
Colombo che di lingue ne sapeva una più di Lucifero, non ebbe difficoltà a comprendere quella esotica presentazione e rispose.
“Signor Monet, in questo posto ogni cosa è assurda. E io qua ho perso il senno a tal punto da dubitare anche della mia esistenza! 
Perciò, al fine di rassicurarmi, potrebbe cortesemente illuminarmi sulla mia situazione? Sono in un sogno o sono nella realtà?”
Monet spiegò con semplicità al nostro affezionato amico che a Docleacqua tutto era reale e, al contempo, sogno. E ciò che in qualsiasi altro posto sarebbe stato considerato pura follia, lì era assolutamente normale.
Colombo venne dunque rincuorato dalle spiegazioni logiche e chiare che gli fornì Monet e, senza più alcuna preoccupazione, decise che si sarebbe goduto quello stravagante soggiorno; per questo motivo chiese al suo interlocutore di suggerirgli come trascorrere il tempo nel modo più piacevole possibile.
Fu allora che Monet, felice di fargli da guida turistica, gli disse, con una punta di orgoglio, che in quel luogo, ogni anno in quei giorni, si organizzava un importantissimo Festival universale a cui partecipavano artisti veri e artisti inventati. Ognuno doveva creare le proprie opere servendosi soltanto dell’immaginazione e le migliori diventavano parte integrante del paesaggio. Tutto ciò poteva accadere esclusivamente a Dolceacqua perché si trovava lungo un confine spazio temporale dove realtà e fantasia si alternavano in continuazione. 
Lo stesso Monet aveva partecipato al concorso immaginando un quadro che appariva e scompariva e, un istante sì e uno no, prendeva il posto della città.

“Che paese incredibile!”. Commentò Colombo e avendo oramai chiara ogni cosa, si mise di buzzo buono a disegnarlo in una mappa quadridimensionale che sarebbe diventata, negli anni a venire, un punto di riferimento unico  per tutti i viaggiatori intergalattici che avrebbero navigato nello spazio-tempo.

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