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Santorini tra naufraghi e campioni

A volte Maja vorrebbe ridiventare piccola. 
In quei momenti, non le importa di perdere di nuovo quella considerazione degli adulti che in passato la sua bassa statura e la sua esile corporatura le avevano negato.
Vorrebbe ritrovarsi, come se nulla fosse cambiato, al mercato Circo Max a giocare con i suoi amici ratti.
Allordove, il futuro era qualcosa di quasi irraggiungibile e il passato un breve, vitale e colorato bagaglio non così dissimile dal presente.
Oggi, tutto è cambiato; il viaggio, la maledizione, l’eco lontano della voce di Mastro Tonio in prigione.
Nonostante lo spazio e il tempo si siano ridimensionati ogni cosa sembra sfuggirle.
Pur avendo sempre corso, faticato e lottato, Maja prova l’angosciante sensazione di non aver trattenuto niente in mano.
Avvolta in questa spirale, per non lasciarsi soffocare, non ha altra scelta: deve continuare a cercare il modo per annullare il sortilegio che le ha tolto la possibilità di creare il suo destino.
Così, giunta, dopo una sosta a Ios, nell’isola di Santorini si unisce all’equipaggio dell’imbarcazione Vichinghi dell’Oceano per aiutarli a salvare cani e gatti migranti; i quadrupedi, per sfuggire alle epidemie e alle guerre delle terre del Sud e dell’Est, hanno sfidato il mare aggrappandosi a pezzi di legno e a galleggianti di fortuna di ogni tipo.
Nel recuperare, sfinito, uno di questi animali, Maja viene a sapere che è il pronipote del più grande campione della storia del calcio canino e felino. Il suo prozio si chiamava il Re; i suoi genitori erano migrati nel paese della musica malinconica e delle sterminate foreste dell’ovest.
Appartenente a una grande dinastia di calciatori, il re aveva sempre danzato con la palla tra i piedi e aveva sempre continuato a calciare il pallone anche quando tiranni e dittatori gli avevano chiesto di fermarsi.
Anche Orlando, così si chiama il cane salvato da Maja, vuole diventare un campione come il suo prozio; in questo modo, con l’attenzione del mondo, potrebbe chiedere e pretendere aiuto per la sua terra, oggi abbandonata al proprio destino di miseria. 
Confida il suo sogno a Maja e riconoscendo in lei la salvatrice degli universi, le indica la strada per la caldera e la informa che da lì si può accedere a diversi tunnel sotterranei tra cui anche a quello che conduce alla casa di Morana.

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Lona e Mona e la comunità Kurd di Procida

Procida

Avvertenza

Sebbene i paesi, nominati in questa pagina, esistano realmente sulle mappe del web, si avverte che non s’è inteso in alcun modo di darne una descrizione documentaria in questo spazio, nel quale ogni cosa — a cominciare dalla geografia — segue l’arbitrio dell’immaginazione.
Tutto il presente racconto è assolutamente immaginario e non si riporta né a luoghi, né a fatti, né a persone reali.

La descrizione letteraria

Su per le colline verso la campagna, l’isola in cui Mona e Lona soggiornano ha straducce solitarie chiuse fra muri antichi, oltre i quali si stendono frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali. Ha varie spiagge dalla sabbia chiara e delicata, e altre rive più piccole, coperte di ciottoli e conchiglie, e nascoste fra grandi scogliere. Fra quelle rocce torreggianti, che sovrastano l’acqua, fanno il nido i gabbiani e le tortore selvatiche, di cui, specialmente al mattino presto, s’odono le voci, ora lamentose, ora allegre. Là, nei giorni quieti, il mare è tenero e fresco, e si posa sulla riva come una rugiada. Ah, Lona e Mona non chiederebbero d’essere un gabbiano, né un delfino; si accontenterebbero d’essere uno scorfano, ch’è il pesce più brutto del mare, pur di rimanere sempre laggiù, a scherzare in quell’acqua.

La storia

Lona e Mona scoprono la pittoresca isola di Procida, di cui avevano appreso l’esistenza leggendo un avvincente e malinconico racconto della narratrice Elsa. Qui ricevono notizie preoccupanti dai gabbiani sull’ampiezza degli effetti del sortilegio di Morana. L’imperio di Bisanzio ha iniziato a reagire al triste attentato di alcuni giorni fa, in cui sono stati uccisi due bambini*.
La risposta del potente e autoritario Sultanato non è la conseguenza di una approfondita e obiettiva indagine volta a individuare responsabili e movente di quella tragica azione, bensì dell’immediata e opportunistica associazione: rivale politico=terrorista. E così da tre giorni piovono dal cielo spade e artigli che esplodono nei villaggi di etnia Kurd seminando lapidi e cenere.
Alcuni gabbiani, volontari dell’associazione per la pace negli universi, sono riusciti a mettere in salvo una piccola comunità di Kurd, aiutandola a fuggire e indicandole la direzione per raggiungere Procida.
Lona e Mona, appresa la notizia della presenza delle Kurd sull’isola, decidono di incontrarle e di trascorrere un po’ di tempo tra loro.
Le Kurd si mostrano da subito molto ospitali e preparano alle due lucciole dell’ottimo çay; poi, spiegano, in una specie di assemblea pubblica, il proprio progetto politico; un progetto di convivenza pacifica tra i popoli e di condivisione delle ricchezze; un progetto che fugge la violenza, che rinnega l’uso delle armi per offendere e che giudica inumana la viltà delle esplosioni innescate in luoghi lontani dai conflitti. Tra i sottili viottoli dell’isola Lona e Mona ascoltano queste storie, eco di molte altre giunte alle loro orecchie.
La situazione è ogni giorno più grave; Morana con la sua magia nera sta diffondendo il male negli universi così velocemente che presto non resterà più un briciolo di umanità.
Chissà – pensano – se Maja riuscirà a rompere in tempo l’incantesimo?
Poi guardano commosse l’isola; temono che possa svanire e cercano di memorizzarne ogni piccolo dettaglio, ogni colore, ogni linea, per conservare per sempre un ricordo di quella bellezza.

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A Ios Maja ascolta la favola del Natale

chiese di Ios

È caldo; a Maja sembra che sia ancora estate, ma è il giorno di Natale. Nel mondo al contrario ridisegnato dall’incantesimo di Morana ogni cosa appare diversa da come dovrebbe essere nella realtà. Così le stagioni, così le buone abitudini, così il cibo da mangiare.

Dalla vicina  caldera di Santorini giungono i fumi dell’ira della perfida strega. Vapori magmatici che si avvicinano senza sfiorarla a Ios, l’isola incontaminata in cui Maja è giunta qualche giorno fa.
Maja si siede al centro della piazza del villaggio e ascolta le storie raccontate dalle voci degli anziani filatori di lana.
Si narra che la notte di Natale fossero giunti qui sette ragazzi, fuggiti da una delle prigioni di Morana.
Una partita di pallone, come in un film, era servita a distrarre le guardie della strega; la non proibitiva altezza delle mura di cinta aveva poi fatto il resto.
È un fatto, da quel che si dice, accaduto tanti anni fa, in un tempo lontano in cui la voglia di libertà riusciva ancora a contrastare il terrore e l’orrore di una prigione.

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Lona e Mona a Ponza e Palmarola

Un luogo incontaminato in cui Lona e Mona trascorsero degli ultimi giorni spensierati fu l’arcipelago delle isole ponziane. 

Ma a metà del loro soggiorno qualcosa cambiò. Da quel momento in poi gli Universi furono sconvolti da una serie di cataclismi a cui le due piccole lucciole dovettero far fronte per salvare l’umanità.
Una mattina, mentre stavano camminando, iniziò a tirare uno strano vento da Est. I locali lo battezzarono “il fiato della mafia” perché nel soffiare il suo sibilo sembrava ripetere questa parola: “Maaaaaa-fiaaaaaaa”. Era tetro come un avvertimento, una minaccia.
Fu allora che sulla spiaggia di Chiaia di Luna incontrarono un grande e giovane rapace, il quale riconoscendo in Mona e Lona le due grandi e coraggiose paladine le avvicinò e disse loro:
“Care Mona e Lona, vengo da un’isola molto più grande di quella in cui ci troviamo. La bellezza delle acque del posto dove son nato era ovunque pari a quella di Ponza e Palmarola. Purtroppo, quel vento che adesso state avvertendo anche qua, e che si sta espandendo in ogni parte delle terre conosciute, da noi spira da anni e ha portato devastazione, inquinamento, tossicità. Ho provato, con spirito di servizio a contrastarlo insieme a un gruppo di compagni coraggiosi, ma siamo stati sopraffatti.
Se vogliamo evitare che si propaghi ovunque ho bisogno del vostro aiuto. Dobbiamo formare un movimento di pace e di legalità! Se, infatti, ciascuno di noi facesse il proprio dovere sarebbe semplice arginare questo male. Sarebbe semplice sconfiggere l’arroganza di un maleficio che non appartiene alla natura, ma è opera di qualche stregone divorato dall’odio. Abbiamo tanti segnali che ci fanno credere che possano accadere delle cose spiacevoli nel prossimo futuro. Ma dobbiamo avere fiducia perché noi siamo più forti. Lo stregone e i lacché che lo adulano muoiono da vigliacchi una volta al giorno, mentre voi che siete due eroine – e tutti coloro che si metteranno insieme a voi – vivrete la vostra vita esprimendo tutto il suo potenziale e morirete soltanto quando sarà la vostra vera fine. Mi fido di voi perché so che saprete sopportare la vostra paura dalla quale in alcun modo vi farete condizionare. Siate coraggiose, non incoscienti! Molti saranno affascinati dalle illusioni di questo stregone, perché attraverso il suo diabolico e potente vento, l’onomatopeico maaa-fiaaaa, convincerà gli esseri più in difficoltà a cercare nell’odio, e non nell’amore, la soluzione ai loro problemi.
Detto ciò prese il volo.

Il grande giovane rapace aveva scelto di affidare, come un testamento spirituale, queste parole a Mona e Lona perché credeva in loro. E le due lucciole non lo delusero; presero sul serio il compito che fu loro affidato. Per prima cosa difesero, insieme ai virtuosi abitanti dell’arcipelago, l’arcipelago ponziano dal vento dello stregone. Poi, percorsero ogni centimetro dei luoghi abitanti per arginare quella devastazione. Ci riuscirono, grazie anche all’aiuto di genti coraggiose che non fuggirono via. 

Una sera vennero a sapere che quel valoroso uccello era morto combattendo, ma seppero anche che era riuscito a infliggere un colpo durissimo al sofisticato sistema di difesa che proteggeva il terribile mago e che da quel momento in poi sarebbe stato più semplice sconfiggerlo.

Quel giorno era un 23 maggio e in quella data ogni anno Mona e Lona ricordano il grande giovane rapace che aveva dato loro forza e speranza per sopraffare un nemico che sembrava imbattibile.

Pagina wikipedia dell’arcipelago Ponziano

Pagina wikipedia di Giovanni Falcone

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Liberty Island – New York

“Ricordi, Dafne?”.
“Cosa, Maja?”
“Ricordi quando tutto era in movimento e nulla era immobile? Fu allora che quel battello ci portò da lei, dalla signora Libertà!”
“Sì, me la ricordo bene.” rispose Dafne: “Ci spiegò il significato delle parole giustizia, indipendenza e, appunto, libertà.

Ci tenne a farci sapere, mentre entusiaste credevamo di osservare i grattaceli di New York, che in realtà stavamo guardando un’altra città e un altro Stato: il loro nome era New Jersey.
Ci parlò di tutte le persone che aveva visto nella sua vita ultracentenaria. Gente che aveva attraversato l’oceano, a volte in imbarcazioni precarie, spesso in condizioni di salute precarie.
Alcune di quelle donne e alcuni di quegli uomini non erano riusciti neanche a toccare terra.
Ci raccontò di come la loro disperazione li avesse spinti a tentare il tutto per tutto e di come il loro coraggio non gli avesse mai fatto mancare la forza per rendere maestosa una delle metropoli più vitali del Pianeta.
Per loro nutriva un misto di ammirazione e di terrore; sapeva, infatti, che quelle stesse persone che l’avevano sempre salutata con entusiasmo e riconoscenza erano i discendenti degli esploratori e dei conquistatori che avevano sterminato i popoli nativi di quella terra a lei tanto cara, nel nome di quella stessa parola con cui l’avevano battezzata: libertà”.
“Concluse avvisandoci profeticamente che prima poi saremmo stati costretti a fermarci a causa di una terribile minaccia. E ci spiegò che solo attraverso una profonda riflessione sul significato delle parole giustizia e libertà e solo attraverso la piena comprensione dei loro universali valori saremmo finalmente riusciti a vivere in… come era quella parola difficile… ah, ecco, adesso ricordo… saremmo finalmente riusciti a vivere in empatia con il resto del pianeta. Quel giorno avremmo  ricominciato a camminare, in maniera diversa rispetto al passato; il nostro sarebbe stato un movimento nuovo e sarebbe servito a rendere più facile il movimento di tutta la terra.

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La caldera di Santorini – Thera –

Tra gli infiniti condotti sotterranei per i quali si muove la perfida strega Morana, c’è quello che collega l’Etna alla Caldera di Santorini. Anche qui, come nel Vesuvio, nel corso dei secoli Morana ha portato avanti i suoi esperimenti e i risultati dei suoi fallimenti sono stati ancor più devastanti di quelli terribili provocati nel cratere del vulcano campano; le esplosioni che ne sono derivate hanno purtroppo causato la distruzione di una buona parte della civiltà minoica.
Ciò che è rimasto è solamente cenere priva di vita, ma non tutto è perduto; Maja e Dafne sanno che quando riusciranno a sconfiggere Morana ogni cosa tornerà al suo posto e anche la caldera di Thera ridiverrà un luogo rigoglioso e prospero.

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Grecia Ionica e Meteore

Dopo tanto viaggiare in cerca di Morana e di Mastro Tonio, Maja e Dafne si prendono una pausa e si dedicano all’otium. Con in mano una copia dell’Odissea di Omero salgono su un’imbarcazione che dal porto di Brindisi le scorta fino a quello di Ηγουμενίτσα. In Grecia le due giovani amiche si riposano, si dedicano alla lettura delle avventure del prode Ulisse e visitano luoghi di rara bellezza, come la costa occidentale dell’isola di Λευκάδα, quella settentrionale dell’isola di Κέρκυρα, l’antico borgo della lacustre città di Ἰωάννινα e la misteriosa Μετέωρα, luogo incantato dominato da torri arenarie dalle forme bizzarre che nascondono e custodiscono antichi monasteri ortodossi.
Maja e Dafne restano in questi luoghi per giorni leggendo le avventurose storie di Τηλέμαχος, di Ἄργος, dei μνηστῆρες e di Πηνελόπεια.
Presto dovranno far ritorno ai loro doveri, ma non se ne curano; si riposano e pensano che l’universo, nei momenti di pace, sembra quasi sul punto di riuscire a raggiungere la perfezione.

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Ischia

Maja si volta verso il mare e scopre lo struggente spettacolo del tramonto dietro la vulcanica Ischia.

Nel frattempo nell’isola si trova Giufà che incontra Naruga la tartaruga.

“Qui succede un Casa Micciola!!!!”

Urla, spaventata, la tartaruga in direzione di Giufà.
La testuggine teme un’imminente catastrofe, ma prima di nascondersi dentro il suo carapace, si sporge da un muretto e osserva il sole che svanisce dietro la piccola isola di Arturo e illumina il nero dell’imponente sagoma di Ischia e del suo monte Epomeo.

Visita anche la stanza dei graffiti troverai anche quelli dell’isola flegrea.

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Isola de l’Asinara

C’era una volta, tanto tempo fa, un mondo in cui gli esseri umani non avevano cura degli altri animali. Li maltrattavano, colpendoli con il bastone e impiegandoli in lavori duri e usuranti.

Tra tutti gli animali i più vessati erano gli asini. Su quali e quante fatiche fossero costretti a sopportare ci si può fare un’idea leggendo le storie di Lucio e di Pinocchio, e prendendo visione del francese Au Hasard Balthazar

Senza sapere nulla delle drammatiche vicende sopra raccontate, le nostre amiche Maja e Dafne giungono a Posthudorra, luogo di confine tra la vita e la morte. Da Posthudorra un battello traghettato da Etere, la meno funerea figlia di Erebo e Notte, le attende per condurle in un luogo misterioso, ancestrale e ignoto: l’isola de l’Asinara.
Etere si occupa di tutto. Vende i biglietti, guida l’imbarcazione, distribuisce viveri ai passeggeri, fa il mozzo di bordo e l’animatrice. 
La traversata è piacevole. Dura circa un’ora, durante la quale il sole sorge e tramonta almeno dieci volte.
Quando Maja e Dafne scendono sul molo di Cala Reale lo spettacolo che si presenta al loro sguardo è sublime. In passato le due compagne ne hanno visti di luoghi fantastici come El Dorado, Eden e Iperoberea. Ma dai loro ricordi nessuno di quei posti eguaglia per bellezza l’isola de l’Asinara dove il verde delle boscose colline si specchia sulle acque trasparenti che riflettono i mille colori del cielo e della natura. Ma non è tutto, ad accogliere le nostre amiche ci sono delle grosse, colorate e saltellanti orate che le salutano festose e danno loro il benvenuto.

“Care Maja e Dafne siamo onorate di ricevervi nella nostra patria. Ci auguriamo che il Vostro soggiorno sia il più piacevole possibile.
Testona la cavalla dentona vi farà da guida. Se la tratterete con rispetto potrete chiederle quel che volete”.

Poi, con tono solenne, Etere le avvisa:

“Mi raccomando, tornate al molo prima del tramonto, altrimenti sarete costrette a restare a l’Asinara per sempre”.

Maja e Dafne annuiscono, spaventate, e Testona gli fa cenno di seguirle. 
Inizia la perlustrazione dell’isola! Che emozione!
Dopo due curve incontrano Leonino, il fantasma dell’ultima foca monaca vissuta sull’isola. E’ seduto a un tavolino e sorseggia un po’ di vino. Invita l’amica Testona e le due visitatrici a giocare una partita a rubamazzetto con lui. Insiste così tanto che è impossibile dirgli di no. 
Le fa accomodare, mischia le carte e inizia a raccontare la sua storia in modo breve e conciso: “Esisteva, in un tempo passato, un convento in cui le foche del Sacro Ordine delle Clarinettiste vivevano, giocavano a carte e pregavano tutto il dì. Poi, decisero di partire per un pellegrinaggio spirituale e non fecero mai più ritorno. Io solo rimasi qui e ci vissi fino alla fine dei miei giorni”.
Dette queste parole, Leonino scompare e con lui svaniscono le carte, le sedie, il tavolino e anche il vino. E alle nostre amiche non rimane altra scelta che rimettersi in marcia. Pochi passi e si ritrovano a camminare su di una bellissima cala incontaminata sfiorata da acque splendenti. 


“Sarebbe un delitto non approfittarne per fare una pausa”.

Pensano Maia e Dafne che non hanno alcuna intenzione di commettere quel reato. 

Si tuffano nel mare e ingaggiano una gara con dei delfini locali. Dafne trionfa per due lunghezze su Maja e i delfini. Più dietro, e molto affaticata, arriva Testona. Il tempo di asciugarsi sotto il sole e ricomincia la gita.
La cavalla avvisa le due visitatrici che stanno per visitare l’antica colonia penale agricola dell’isola: un luogo di sofferenza e dolore, dove in un’era remota erano reclusi i più terribili criminali della storia degli universi e dove, ancor prima, venivano abbandonati e lasciati al proprio destino i malati di tubercolosi.
Dentro una cella incontrano un gruppo di disoccupati che, per protesta, si sono volontariamente rinchiusi in attesa che il Grande Capo degli Universi restituisca loro il lavoro e la dignità di cui li ha privati. 
Maja e Dafne incoraggiano gli occupanti a resistere e, dopo averli salutati, riprendono a girovagare, insieme a Testona, per il resto dell’isola. 
Camminano molti chilometri prima di raggiungere la parte più selvaggia e incontaminata de l’Asinara. E’ popolata da numerosissimi asini, grigi e bianchi, che vivono liberi e pascolano felici. Sembra sia proprio un’usanza dell’isola confidarsi con le sconosciute. Anche gli asini, difatti, appena vedono Maja e Dafne, gli raccontano, ragliando all’unisono, la loro storia.
“Un tempo eravamo gli animali più maltrattati di tutti. Gli esseri umani si approfittavano della nostra bontà e ci sottoponevano a insopportabili fatiche. Tiravamo carri pesantissimi, eravamo messi al giogo e attaccati alle macine dei mulini, e dovevamo affrontare interminabili traversate al caldo, senz’acqua né cibo.
Poi, una notte tutto cambiò. Un pifferaio magico salì sul monte Utero, intonò una melodia che spezzò le nostre catene e aprì i recinti in cui eravamo imprigionati. Quella musica ci condusse a Posthudorra dove ad attenderci c’era Etere.
Ci accolse con un sorriso, ci abbracciò uno ad uno e ci disse che da quel momento in poi le nostre fatiche sarebbero finite per sempre. Ci rassicurò e ci invitò a salire sul suo battello. Ci fidammo di lei e approdammo in questo luogo meraviglioso. 
Da quella notte la nostra vita è cambiata per sempre.
L’Asinara è diventata la nostra casa, la nostra terra. Qui siamo liberi e felici. Possiamo crescere i nostri figli e le nostre figlie senza più il terrore che un domani saranno costretti a subire quelle stesse violenze che noi abbiamo provato sulla nostra pelle.
Care ragazze, vi ringraziamo per averci ascoltato. Vi preghiamo di raccontare la nostra storia al mondo e se, durante il vostro viaggio, doveste incontrare un asino ancora schiavo, parlategli de l’Asinara e indicategli la strada per arrivarci.
Adesso correte, però, il sole sta per tramontare. Se non vi sbrigate perderete il battello e non potrete più andarvene!”
E così, mentre il sole si colora di arancione e scende verso l’orizzonte, Maja Dafne e Testona corrono velocissime. Arrivano a Cala Reale un attimo prima che Etere levi l’ancora. 
E’ il momento dell’addio. Un abbraccio e un bacio a Testona, che per la commozione inizia a tartagliare, e, via, pronte a salire sul battello.
Il tempo di scaldare i motori e l’imbarcazione lentamente si allontana dalla sinuosa isola de l’Asinara. A bordo Etere si barcamena tra un lavoro e l’altro. Fuori è già calata la notte, le stelle appaiono una a una nel cielo e si specchiano sul mare dove i delfini, saltellando, inseguono la scia del battello.
Maja e Dafne si abbracciano, sorridono e si preparano a una nuova avventura, sperando in cuor loro che un domani possa esistere per ogni essere vivente un’Asinara. Un luogo dove vivere in pace e serenità.

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